AGI - "Tutto il Sahel è pervaso da un’ondata jihadista senza precedenti, con le cancellerie internazionali preoccupate per la possibile saldatura con le organizzazioni criminali internazionali. Cancellerie che, tuttavia, non sono state in grado di risolvere il problema perché hanno privilegiato l’intervento securitario, pur necessario, rispetto alla cooperazione allo sviluppo. Il terrorismo nel Sahel, così come in Somalia, si alimenta della povertà dilagante, dell’incapacità degli stati di far fronte ai bisogni della popolazione. Verrebbe da dire che l’arma più efficace per combattere i terroristi sarebbe mettere in campo riforme economiche e un welfare state degno di questo nome, così da togliere da sotto i piedi dei terroristi il loro terreno privilegiato, cioè la povertà. Ma sono molte altre le sfide che attendono il continente, soprattutto economiche". Parole recenti di Angelo Ferrari, giornalista e scrittore, che ieri si è arreso- dopo una lotta durata anni – a un male che non gli ha lasciato scampo.
Ci eravamo sentiti l’ultima volta una settimana fa. Un breve punto sulle cure sperimentali a cui si stava sottoponendo, per parlare subito di lavoro e del nuovo libro a cui stava lavorando. Un nuovo libro sull’Africa, naturalmente, la sua grande passione, la sua formidabile medicina, diceva sempre.
Quest’anno era stato giù due volte. Alla ricerca di storie e di puntini da unire, nella sua continua ricerca di verità sulla terra più tormentata del mondo, dalle sorti della quale potrebbe dipendere il futuro anche del nostro di continente. In primavera Angelo aveva mandato in stampa "Non so come andrà a finire" (293 pagine, Ogzero editore, 22 euro). Gli appunti di una vita, raccolti con in mano il taccuino del Giorno prima e dell'Agenzia giornalistica Italia dopo.
Settantacinque capitoli, anche brevissimi, che raccontano la storia di un continente che dà al mondo intero materie prime, ricchezze, uomini e donne a buon mercato, e ne ottiene indietro ancora troppo spesso sfruttamento, morte, nella stragrande maggioranza delle volte, indifferenza.
Oggi che Angelo non c’è più questo è a maggior ragione un libro da rileggere e da tenere bene a mente: perché nei suoi racconti in presa diretta, il punto di vista di Angelo Ferrari è sempre stato diverso da quello mainstream a cui siamo abituati qui, quando parliamo di migranti e di sbarchi, di richieste di asilo o di traffico di esseri umani.
Il lavoro di Ferrari (una bibliografia solida, la sua, qui una piccola collezione dei suoi ultimi articoli) ha descritto dinamiche e problemi con gli occhi, il cuore e la testa di chi quella terra la abita e prova a riscattarla. E anche di chi la sfrutta e la stupra per interessi economici e bramosia di potere. Nomi, cognomi, luoghi, storie.
In "Non so come andrà a finire" Ferrari si è posto domande sul futuro della ‘sua’ Africa, ma anche sulla sua salute, in un diario della lotta contro la malattia intimo e sincero. Mai retorico. Non sapeva quanto gli restava da vivere. Nelle ultime telefonate con i colleghi dell’Agi in questi giorni era sembrato abbastanza forte e speranzoso che gli ultimi protocolli medici seguiti avrebbero prodotto miglioramenti, per quanto possibile.
Sperava e lavorava sul suo fisico per darsi ancora tempo da dedicare a Gabriela, sua amatissima moglie, e all’Africa. Voleva tornarci, stava preparando una trasferta nello Zimbabwe. Il nuovo libro era già in macchina. La sua lezione – ci avrebbe bacchettato per questa frase fatta – è stata questa: non sappiamo come andrà a finire, ma in attesa di scoprirlo lavoriamo con tutte le forze sulle nostre cause, le nostre passioni, i nostri puntini da unire. Senza preoccuparci troppo e senza sprecare energie preziose. Grazie e buon viaggio, caro Angelo, sappiamo con certezza in quale cielo sei già atterrato.