AGI - Le istituzioni italiane ed europee salutano Giorgio Napolitano, ex Presidente della Repubblica che ha avuto nella sua vita la democrazia, l'Europa e l'unità del Paese come "missioni". Funerali di Stato, alla Camera, luogo per eccellenza della democrazia, per un uomo che ha vissuto per 70 anni la vita politica e istituzionale italiana.
Schierati in prima fila, oltre al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, i capi di Stato attuali o passati di diversi Paesi europei, da Emmanuel Macron a Frank-Walter Steinmeier. Dall'altra parte dell'emiciclo, ai banchi del governo, la premier Giorgia Meloni con i vicepremier Antonio Tajani e Matteo Salvini, con praticamente tutti i ministri.
A ricordarlo, insieme al figlio Giulio e alla nipote Sofia, oltre ai presidenti delle Camere, Lorenzo Fontana e Ignazio La Russa, personalità che lo hanno conosciuto, stimato e ammirato. Non ultimo Gianni Letta, con una rilettura del burrascoso passaggio che nel 2011 porto' dal governo Berlusconi a quello Monti.
Poca la politica 'di partito'. Anna Finocchiaro si è assunta il compito di ricordare i primi decenni di impegno di Napolitano, con il passaggio "dal Pci al socialismo europeo" come traiettoria. E l'accenno del figlio Giulio alle parole autobiografiche del Presidente, che riconobbe di aver "combattuto buone battaglie e sostenuto cause sbagliate". In particolare il "grande tormento" ricordato da Giuliano Amato di fronte all'invasione russa di Budapest del '56.
Qualche tratto del carattere dell'uomo, ampiamente ricordato dalla commozione della nipote Sofia: "Ci ha insegnato a trattare chiunque con rispetto e cortesia a prescindere dalle convinzioni. Quando eravamo piccoli ci scriveva sempre, ci veniva a prendere a scuola".
Il "rapporto indissolubile" con la moglie Clio ammirato dal figlio Giulio. Ma anche la sua puntigliosità raccontata da Amato e da Anna Finocchiaro: "Temevo le sue lettere, con scrittura tanto più puntuta e obliqua quanto più era arrabbiato con me". E la sconfinata cultura di un uomo che, rammenta il cardinal Gianfranco Ravasi citava Thomas Mann in tedesco e rileggeva qualche verso di Dante nei momenti liberi.
Ma soprattutto la vita nelle istituzioni. Gli anni da presidente della Camera, quelli da europarlamentare e i nove da Presidente della Repubblica. Europeista ante litteram, convinto della necessità di maggiore "radicamento della democrazia", entusiasta sostenitore dell'unita' italiana. Una lunga presenza, mai silente, mai passiva, che gli ha guadagnato le critiche prima da sinistra per eccessiva acquiescenza verso l'allora premier Berlusconi, poi da destra, dopo il tumultuoso mese che portò Mario Monti a palazzo Chigi.
"Un complotto" fu poi definito dal centrodestra. Ma Gianni Letta si è incaricato oggi di dare la sua spiegazione, dopo aver vissuto in prima persona quei passaggi, ambasciatore, quasi, per pacificare i rapporti tra il centrodestra, l'allora Presidente e il decennio che seguì. Spettatori i rappresentanti di alcuni di quei Paesi, Francia e Germania in testa, che secondo le critiche furono 'mandanti' della caduta del Cavaliere e con i quali, a ondate, ancora oggi il dialogo dell'attuale governo è altalenante.
"Di fronte a un lutto repubblicano non ci sono divisioni di sorta, il lutto non cancella ma supera ogni divergenza e annulla le distinzioni culturali e politiche" ha affermato l'ex Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio che, "da testimone", ha dato atto a Napolitano di "correttezza istituzionale" e di non essere "mai venuto meno al rispetto dei limiti fissati dalla Costituzione". Fino a immaginare che l'ex premier e l'ex presidente, "lassù, placata ogni polemica possano chiarirsi e ritrovarsi, nella luce".
Una lettura che si guadagna applausi ma non travolgenti, forse perché serve ancora tempo per digerire quel passaggio che nel centrodestra da molti viene ancora considerato traumatico. Ma la pacificazione nel giorno del lutto fa premio. Mondi diversi si studiano nell'emiciclo, l'establishment europeo, le istituzioni nazionali, il governo, le forze politiche. Poi i fronti si mescolano e si parlano quando piano piano la cerimonia finisce.
Mattarella saluta Macron e Steinmeier con un lungo abbraccio, a segnare gli storici rapporti tra i tre Paesi; Giorgia Meloni torna a Palazzo Chigi insieme al Presidente francese per proseguire un dialogo avviato sui temi dell'Europa e dei migranti.
Alla fine, il feretro di Napolitano lascia la piazza ed è il momento per la piccola folla che ha seguito dai maxischermi di salutarlo con un applauso. Mentre il Palazzo ha fatto sue le parole di La Russa verso il collega, amico, avversario, compagno: "Ciao Presidente".