AGI - Fa discutere la motivazione della richiesta di assoluzione di un pubblico ministero di Brescia per un uomo del Bangladesh accusato di violenze e maltrattamenti sulla giovane moglie, anche lei di origini bengalesi.
Per il pubblico ministero quei comportamenti, definiti "contegni di compressione delle libertà morali e materiali", sarebbero "il frutto dell'impianto culturale e non della sua coscienza e volontà di annichilire e svilire la coniuge".
La richiesta di assoluzione è stata inserita nelle conclusioni depositate alle parti in vista dell'ultimo atto del processo che dovrebbe arrivare a sentenza nelle prossime settimane. Per il pm i presunti maltrattamenti rientrerebbero nel campo dei reati culturalmente orientati che pertanto non vanno puniti, "atteso che la disparità tra l'uomo e la donna è un portato della sua cultura che la medesima parte offesa aveva persino accettato in origine".
Dopo l'ondata di polemiche bipartisan che si è scatenata, la Procura di Brescia ha ritenuto di prendere le distanze dalle affermazioni del pm, pur sottolineando che è stata rispettata la legge.
"In merito agli articoli di stampa relativi alle conclusioni rassegnate dal pm nel processo a carico di Hasan Md Imrul faccio presente che queste, in base alle norme del codice di procedura penale, non possono essere attribuite all'ufficio nella sua interezza", scrive in una nota il procuratore di Brescia, Francesco Prete. Il riferimento legislativo è "all'articolo 53 del codice di procedura penale ('nell'udienza il magistrato del pubblico ministero esercita le sua funzioni con piena autonomia') e all'articolo 70 dell'ordinamento giudiziario".
Nella nota Prete, scrive anche che "le richieste di ispezioni ministeriali" sul caso del cittadino bengalese che sarebbe stato assolto per 'relativismo culturale', "ci lasciano assolutamente tranquilli, essendo tutti i magistrati dell'ufficio sicuri di avere sempre agito nel rispetto della legalitò, secondo i parametri fornitici dalla Costituzione e dalla legge".
La vittima delle presunte violenze è una 27enne di origini bengalesi, cittadina italiana e madre di due figlie, che era stata costretta a sposare in patria un cugino con un matrimonio combinato, Nel 2019 la donna ha denunciato il marito, da cui nel frattempo si è separata, per maltrattamenti fisici e psicologici. A suo tempo la Procura aveva già chiesto l'archiviazione del procedimento, richiesta rigettata dal gip che ha ordinando l'imputazione coatta per lo straniero nato e cresciuto in Bangladesh.