“Sono stato sei giorni a cavallo, ho visto molta acqua, ne farò relazione al re…”. Così Luigi Vanvitelli, architetto, ingegnere, scenografo, pittore, nell’aprile del 1752. Il re era Carlo di Borbone, l’acqua era quella che doveva zampillare nella Reggia di Caserta, il suo capolavoro, la cui prima pietra era stata posta il 20 gennaio dell’anno prima, omaggio al sovrano che in quel giorno compiva gli anni.
A Vanvitelli - visionario, infaticabile, poliedrico, eccellente disegnatore istruito in pittura dal padre Caspar van Wittel – viene attribuita la definizione “architetto dell’acqua”. Ed è, oltre che per la “danza” delle fontane che fanno inimitabile la Reggia di Caserta, per l’altra sua grande impresa: il disegno urbanistico del porto di Ancona, città che volle si svelasse dal mare. Sicché tutto il suo impianto si mostra convergente verso lo scalo sull’Adriatico e la più importante costruzione, il lazzaretto, colosso dalla pianta pentagonale, fu collocata su un’isola artificiale di ventimila metri quadrati appoggiata al porto: la Mole Vanvitelliana, appunto.
Di Vanvitelli ricorrono i 250 anni dalla morte, avvenuta a Caserta, il 1 marzo del 1773, quando ormai Carlo di Borbone aveva lasciato Napoli per il trono di Spagna e il suo successore, Ferdinando IV, non ne aveva il carisma e la visione illuminata (illuministica potrebbe azzardarsi). Così nel suo nome si svolgono le manifestazioni della ricorrenza, fortemente volute da Tiziana Maffei, che dirige la Reggia di Caserta e che si è battuta perché si celebrasse il bicentenario e… mezzo.
Bene ha fatto, perché i riflettori, accendendosi su Vanvitelli, ne rilanciano figura geniale, offuscata da nomi maggiormente osannati: Palladio, Bernini, Borromini…E invece basta scorrere gli incarichi portati a termine dal Nostro per comprendere quanta “eredità del Futuro” ci abbia lasciato, e quanto egli sia stato un Maestro, del Piermarini per esempio, degli architetti del Buckingham Palace, di quelli della città di Lisbona, e dei neoclassici che egli avviò, nonostante i suoi guizzi barocchi.
Di tutto ciò si parlerà nel convegno internazionale di studi che si svolgerà ad Ancona – negli spazi della Mole, e altrimenti dove? – dal 7 al 9 settembre. A presentarlo, oggi, al Ministero dei Beni Culturali, c’era il sottosegretario Vittorio Sgarbi.
Che ha lodato la varietà delle relazioni (più di ottanta gli “abstract” selezionati): sceverano l’opera e la personalità dell’architetto, dal grande impatto che ebbe sui viaggiatori del Grand Tour, al rinnovamento delle pratiche di cantiere (la Reggia, che ancora non era terminata quando Luigi Vanvitelli morì, è chiamata “il cantiere dei cantieri”), alle rivalità e alle polemiche che dovette sopportare (a Roma lo avversò Ferdinando Fuga, criticando anche il progetto per il consolidamento della cupola di San Pietro con cerchioni di ferro, che alla fine risultò vincente), alle restrizioni finanziarie subite (mentre costruiva la Reggia il segretario di Stato, marchese Bernardo Tanucci, gli lesinò perfino la carbonella per riscaldarsi).
Ecco poi sciorinarsi l’ubiquità di Vanvitelli: a Milano si occupa del restauro del palazzo vicereale e contribuisce alla diffusione del neoclassicismo in Lombardia. A Roma comincia con il progetto dell’acquedotto di Vermicino, cura il restauro della Basilica di Santa Maria degli Angeli, dell’altare di Sant’Anna in Sant’Andrea delle Fratte, del convento degli Agostiniani, oltre a partecipare al concorso per la Fontana di Trevi. In Campania, oltre alla Reggia, ottiene incarichi a Ercolano, a Napoli, a Benevento. Si occupa delle Saline di Margherita di Savoia.
A Maddaloni lascia il capolavoro ingegneristico dell’Acquedotto Carolino, che dal monte Taburno contribuisce a convogliare le acque delle sorgenti del Fizzo fino alla Reggia di Caserta dove dopo un percorso di 38 chilometri sgorgano nella Peschiera, nelle fontane del Parco Reale e del Giardino Inglese e nelle seterie borboniche di San Leucio, tutti patrimonio Unesco.
Nelle Marche numerose le opere, tanto da poter costituire un nutrito itinerario vanvitelliano tra natura e architettura. Ancona, dunque. Al Porto, oltre alla Mole, l’Arco Clementino, con l’uso di due materiali, il candido travertino e il laterizio; in città la chiesa del Gesù, dalla facciata concava, a richiamare la arcuata linea del porto; il Palazzo Ferretti, fiero dello scalone d’onore e del giardino pensile.
E poi Loreto, dove completa il loggiato del Palazzo Apostolico e progetta il campanile della Basilica, in laterizio e finiture di pietra d’Istria, il più alto – 75,60 metri - delle Marche. Ancora linee curve rococò e severità classica nella Basilica di Santa Maria della Misericordia a Macerata; la chiesa di Santa Maddalena a Pesaro, la Torre Civica a Fano, la chiesa di San Vito a Recanati, Palazzo Albani ad Urbino.
Il percorso umano e artistico di Vanvitelli - che si formò a Roma con Filippo Juvarra, scenografo fantasioso oltre che architetto - è ricostruito dalla mostra permanente inaugurata nella Reggia di Caserta lo scorso 1 marzo, data di avvio delle celebrazioni dei 250 anni.
Dice all’Agi la direttrice Tiziana Maffei: “Nel corso dell’anno i visitatori sono aumentati del 20 per cento ed è cambiata l’utenza. Molti sono stranieri, animano in tal modo il turismo del territorio. Privilegiamo la consapevolezza del luogo: la passeggiata all’alba nel Parco e nel Giardino inglese, lo scorso 26 agosto, ha calamitato mille persone, in fila all’ingresso dalle 5,15 del mattino.
Per l’immediato futuro, in bando il progetto di sale che preparino alla visita, estendendo la conoscenza al ruolo di Borboni nel Sud Italia. E a fine anno due mostre fotografiche, l’una su Vanvitelli architetto e ingegnere di Luciano D’Inverno, l’altra sui luoghi di Vanvitelli in Italia di Luciano Romano”.
Il sottosegretario Vittorio Sgarbi (chiuderà il convegno di Ancona al quale parteciperà in apertura il ministro Gennaro Sangiuliano) ha fatto sintesi sulla diatriba classico-barocco che ha spesso diviso la critica nei confronti di Vanvitelli. “Certamente in lui si sente l’influenza di un altro grande architetto classico come Palladio ma risuonano allo stesso tempo echi barocchi. In lui vediamo Palladio e vediamo Bernini, vediamo l’immagine di una Roma pontificia che Vanvitelli ha portato ad Ancona e nelle Marche. Un’Ancona che egli percepisce come una seconda Venezia per questa sua apertura sul mare. Un grande artista che culmina a Caserta con un’opera degna di Versailles. Vanvitelli è stato anche pittore e figlio di un grande pittore che ha posto nel fulcro della sua opera la centralità di Roma: insomma, ha tradotto la pittura in architettura”.
Il “futuro” del Maestro è anche nel rapporto con l’altra sponda dell’Adriatico. “La città da lui intesa come Porta d’Oriente vuole unire la nostra costa a quella della Croazia”, osserva l’assessore alla Cultura di Ancona, Anna Maria Bertini. Il simbolo che egli scelse, la conchiglia, la donò a una chiesa del capoluogo marchigiano. Forma forgiata dalla Natura come un’architettura.