AGI - L’unica certezza che nell'ultima decade di agosto del 1943 gli Alleati avevano sulle scelte politiche del Governo Badoglio era che l’Italia voleva finirla con quella guerra, ma non sapeva esattamente come fare, anche perché pretendeva di dettare condizioni mentre gli angloamericani offrivano solo la resa incondizionata.
Le loro perplessità, poi, erano ingigantite dal tourbillon di emissari senza credenziali che tentavano abboccamenti in maniera estemporanea e slegata, spesso in sovrapposizione. Il ministro degli esteri Raffaele Guariglia, di sua iniziativa o su impulso della Corte, aveva inviato in Svizzera l’industriale Alberto Pirelli, ma le autorità elvetiche aveva chiuso subito la porta perché non volevano pregiudicare la loro neutralità, con un vicino così pericoloso come il Reich di Hitler.
In questo gioco di carte coperte, si riuscirà in un capolavoro di assurdità il 24 agosto. Vittorio Emanuele III aveva infatti fatto rilasciare a Dino Grandi un passaporto intestato all’avvocato Domenico Galli. Grandi era un quadrumviro, era stato l’artefice nominale della caduta di Mussolini col suo ordine del giorno del 25 luglio, ma vantava un’esperienza e un certo credito dai tempi in cui era stato ambasciatore a Londra.
Poiché si erano perse le tracce di Castellano di ritorno in treno da Lisbona, sempre per sviare la Gestapo, gli ambienti militari avevano pensato di ricorrere al generale Giacomo Zanussi, il cui nome era stato fatto dal capo dei servizi segreti (Sim) generale Giacomo Carboni. Per convincere gli inglesi della buonafede degli italiani, lo avevano mandato in missione segreta facendolo accompagnare dal generale britannico Adrian Carton de Wiart, mutilato di guerra e prontamente liberato da un campo di prigionia.
Per evitare problemi di comunicazioni, come accaduto con Castellano che non parlava inglese, Zanussi era stato affiancato dal principe Galvano Lanza di Trabia in qualità d’interprete. Era però successo che i tre militari erano saliti su un aereo all’aeroporto di Guidonia, senza considerare che c’erano pure Grandi e la moglie.
Quest’ultima aveva subito riconosciuto de Wiart, noto dai tempi di Londra, e ne aveva avvisato il marito, il quale aveva capito che per lui era meglio farsi da parte prima che le cose precipitassero. E aveva non solo accantonato il piano segreto studiato a Siviglia con l’ambasciatore inglese Samuel Hoare, che prevedeva persino una sua trasferta in Canada, a Québec, dove si era tenuto il vertice tra Churchill e Roosevelt, ma aveva deciso proprio di ritirarsi all’estero.
Con Grandi che volava in Portogallo, lo spionaggio tedesco sarà sviato dalle tracce che poteva lasciare Zanussi il quale otteneva un colloquio con l’ambasciatore britannico Ronald Hugh Campbell. Questi lo tratta con freddezza, non riuscendo più a capire chi parli a nome di chi e quale generale abbia le credenziali per impegnare il governo italiano. Zanussi, peraltro, non sapeva assolutamente nulla della missione di Castellano.
Campbell compie però un errore, imperdonabile in un diplomatico della sua esperienza, ma a sua scusante va detto che obbediva all'ordine del ministro degli esteri Anthony Eden: consegna all’italiano una copia del cosiddetto “armistizio lungo” che per sua fortuna Zanussi non legge neppure.
Per rimediare a quella disattenzione che può compromettere la trattativa e fornire preziose informazioni militari a Roma, Zanussi viene inviato da Eisenhower ad Algeri, dove gli agenti segreti alleati faranno sparire il documento dalla sua valigia. E purtroppo accadrà che quando Zanussi e Castellano finalmente si incontreranno e parleranno dell’armistizio, il 31 agosto, il pasticcio sarà completo perché il primo alluderà sempre a quello “lungo” e il generale che firmerà la resa alle clausole contenute in quello “corto“. Un ulteriore preludio al disastro dell'8 settembre.