AGI - Il 23 agosto il Giappone sverserà in mare l’acqua di raffreddamento della centrale nucleare giapponese di Fukushima. Nonostante tutte le rassicurazioni del caso da parte del Governo giapponese sulla non pericolosità del liquido, in tanti sono preoccupati per le possibili conseguenze sull’ecosistema marino e in particolare sul pesce e i crostacei che arriveranno nei nostri supermercati.
Per chi non si fida delle rassicurazioni del governo giapponese e dell'Agenzia per l'energia atomica (Aiea) c'è un modo suggerito dalla rivista 'Italia a Tavola' per riconoscere il pesce che arriva dai mari nipponici e, nello specifico, dall’intero bacino di Fukushima, grazie alle zone Fao.
In aiuto del consumatore viene un codice numerico visibile sulle confezioni di pesce vendute nella grande distribuzione: cifre fondamentali per capire da dove viene il prodotto. Sono le cosiddette zone di pesca Fao: informazione importanti per conoscere la provenienza del pesce.
Non esiste un numero che identifica la zona di Fukushima, ma la zona oceanica giapponese è contrassegnata dal numero 61. Se quindi questa cifra è riportata sulla confezione, allora è certo che quel pesce viene dalle acque del Pacifico (nello specifico il Pacifico nord-occidentale) che, oltre al Giappone, comprende anche gli specchi d'acqua davanti alle coste russe e cinesi.
Quanto pesce importiamo dal Giappone
Secondo l'analisi della Coldiretti su dati Istat nel 2022, l'Italia importa oltre 123 tonnellate pesce dal Giappone in un anno, meno dello 0,02% sul totale dei prodotti ittici che arrivano in Italia da tutto il mondo.
Lo sversamento di acqua radioattiva nel mare del Giappone - sottolinea la Coldiretti - è preoccupante dal punto di vista ambientale per flora e fauna ittica. "In Italia è scattato ben più di un allarme alimentare alla settimana sul pesce straniero per un totale di ben 63 notifiche che rappresentano ben l'86% di tutte quelle relative ai prodotti ittici consumati sul territorio nazionale durante l'anno".