AGI - A ben guardare sono cambiate soltanto le comprimarie. Con i miti Brigitte Bardot, Marilyn Monroe Lucia Bosè e della Bond girl Ursula Andress (il suo bikini cult con cintura del lontano ’62 in ‘007 licenza di uccidere’, tre anni fa è stato messo all’asta a 500 mila dollari) sostituiti dalle varie star contemporanee che in questi giorni si esibiscono in costume sui rotocalchi, in quello che ormai è un classicone estivo. Da Kim Kardashian ad Anna Falchi, da Elisabetta Gregoraci e Chiara Ferragni alla molto incinta Diletta Leotta fotografata su ‘Chi’ a Forte dei Marmi in due pezzi sbrilluccicante con l’inevitabile titolo “Sirena premaman”. Già, perché nonostante gli sforzi interpretativi delle utilizzatrici e le rivisitazioni degli stilisti, tra laccetti, coppe, perline, reggiseni a fascia e slip in versione tanga o coulotte, il vero protagonista resta sempre lui, il bikini, per niente invecchiato nonostante domani celebri la sua Giornata mondiale compiendo 77 anni.
Lo inventarono, nel 1946, due stilisti francesi Louis Reard e Jacob Heim, chiamandolo, proprio per la sua carica esplosiva, come l’atollo del Pacifico in cui quell’anno gli Stati Uniti fecero esplodere degli ordigni nucleari. Con ragione, visto che quelle due strisce di stoffa che avrebbero messo all’angolo il costume intero con liberazione femminile connessa crearono uno scandalo tale da costringere Louis a chiamare una spogliarellista del Casinò de Paris a indossarlo durante la presentazione, perché le modelle si rifiutavano di farlo.
Ad essere pignoli, i due stilisti francesi si inventarono ben poco perché, come testimoniano i mosaici del III secolo dopo Cristo con giovani sportive in due pezzi rinvenuti a Piazza Armerina, in Sicilia, nella ‘Stanza delle dieci ragazze’, il bikini esisteva da parecchio, solo che veniva usato essenzialmente per lo sport mentre il bagno si faceva addirittura senza veli. Che un corpo seminudo sia più erotico della nudità totale non è una novità.
Ma l’aspetto seduttivo, a quei tempi, diventò secondario; nel ’46 e negli anni seguenti la vera portata rivoluzionaria del bikini arrivava dalla sua capacità di mettere il turbo all’emancipazione femminile, dal rendere le donne libere di mostrare il proprio corpo, perfetto o imperfetto che fosse.
In tema di liberazione gli stop and go non sono certo mancati, con il bikini addirittura vietato in alcune spiagge spagnole, portoghesi e perfino italiane alla fine degli anni Quaranta, con lo sdoganamento francese a cura della Bardot, attraverso il film del 1957 ‘E Dio creò la donna”, preceduto, nel ‘47 da quello a cura della Bosè che per prima lo indossò a miss Italia, al posto del più rigoroso costume intero.
Altra data decisiva, più recente, il 2021, quando gli organizzatori di Miss Italia che fino ad allora avevano fatto sfilare le concorrenti in bikini con numeretto annesso, si sono resi finalmente conto che non era più il caso di andare avanti con quella scelta, liberatoria sì negli anni Cinquanta ma che decadi dopo aveva assunto un sapore mercificatorio.
Il due pezzi protagonista dei social
Che ancora oggi il bikini sia un indumento e un tema più che forte lo dimostrano i circa un miliardo e 700 milioni di risultati su Google, gli appostamenti dei paparazzi per scattare le prime foto in bikini della premier Giorgia Meloni e della leader dell’opposizione Elly Schlein e anche gli sforzi creativi e interpretativi di chi lo indossa: da Elisabetta Gregoraci che ne ha appena indossato uno con la cintura citando coraggiosamente la Andress, a Chiara Ferragni e Dua Lipa e Kendal Jenner che impavide lo hanno sfoggiato, a scopo Instagram, sulla neve, sottozero, addirittura coordinato con i doposci.
Sono proprio i social, con i loro filtri, ritocchi e app snellenti che propongono modelli irraggiungibili, ad aver rovinato un po’ la festa del bikini, togliendogli la carica liberatoria e trasformando quella che era una semplice e condivisa ansia da prova costume in una nevrosi inquadrata dagli psicologi come “Bikini blues” un mix di angoscia e apprensione che si manifesta quando è il momento di scoprirsi e andare in spiaggia, alimentata da uno sguardo ipercritico verso se stessi e, soprattutto, dal timore di essere giudicati.
Secondo una ricerca di MioDottore il 65 per cento del campione intervistato non si sente a suo agio con la zona addominale, il 45 per cento ha il complesso delle gambe, e un terzo detesta le foto in costume. Che fare? Si può optare per un atto di coraggio come quello sbandierato da Aurora Ramazzotti che per le sue prime foto in bikini dopo il parto ha scelto di rinunciare ai filtri, decisa a mandare ai suoi follower un messaggio di autenticità e di accettazione del proprio corpo. Per le meno coraggiose ci sono sempre i siti con le istruzioni per foto perfette in bikini da esibire su Instagram: alzare un braccio, mettersi in punta di piedi, mai esibire le ginocchia in parallelo, fino alla posizione della sirena, stese di fianco sulla sabbia con una gamba distesa e l’altra piegata. Ma ne vale davvero la pena?