AGI - “Per chi frequenta la montagna ci sono delle buone regole che possono o andrebbero messe in atto nel momento in cui ci si reca nelle zone in cui si sa che l’orso è presente. La prima delle quali – dice all’Agi lo zoologo e naturalista Filippo Zibordi – è evitare di cogliere l’orso di sorpresa e quindi mettere in atto tutto quello che si può, senza esagerare, per avvertirlo della nostra presenza, qualora ci trovassimo a camminare in zone in cui sappiamo è presente. Anche solo parlando ad alta voce, per esempio, in zone in cui c’è scarsa visibilità o se siamo soli, per evitare che l’orso possa agire per autodifesa”.
L’autopsia aiuterà a capire di più, ma il caso di Andrea Papi, uscito di casa per andare a correre e trovato cadavere in mezzo al bosco di Caldes, paesino della Val di Sole tra le montagne del Trentino con ferite compatibili con quelle causate dall’aggressione di un animale selvatico, ha riattizzato la paura e acceso il dibattito sulla compatibilità degli orsi nel nostro ecosistema.
La natura si riprende i suoi spazi o la sua rivalsa sull’uomo?
“Non la vedrei in questo modo ma, piuttosto, come la necessità di gestire la natura, un’esigenza che esiste da decenni. Noi viviamo, almeno in Europa, ancor più sulle Alpi, in una zona dove per forza di cose è necessario lavorare per una coesistenza tra natura e uomo, nel senso che non dobbiamo pensare alle Alpi come all’Alaska o alla Kamchatka, quindi a delle zone dove gli uomini stanno da una parte e la natura dall’altra, ma dobbiamo pensare a una compenetrazione forte tra le zone dove vivono gli animali selvatici e le zone dove gli uomini fanno tutta una serie infinita di cose, giustamente e legittimamente”.
Come si raggiunge questa coesistenza?
“Per permettere di raggiungerla è necessario che vi sia una gestione, che ha bisogno di tutta una serie d’interventi che in alcuni casi vengono messi in atto ma a volte no. Riguarda gli orsi ma è un discorso che si potrebbe ampliare anche ai lupi o ai cinghiali. Siamo nel XXI secolo, in un mondo in cui non possiamo lasciare che la natura faccia il suo corso o trovi i suoi equilibri da sola. Non lo dico solo io, lo dice la biologia della conservazione. Gli equilibri sono talmente andati oltre che non possiamo lasciare che le cose vadano ognuna per conto proprio, è troppo tardi”.
Quanti sono gli orsi in circolazione?
“Intanto c’è da dire che tutto nasce da un progetto di reintroduzione che ha avuto inizio alla fine degli anni ’90 per scongiurare l’estinzione dell’ultima popolazione di orsi. Ne sono stati prelevati dieci in Slovenia e rilasciati in Trentino. A oggi sulle Alpi centrali, quindi non solo in Trentino, sono più di un centinaio”.
ORSI: “IL PIANO D’AZIONE C’È, MA LA POLITICA NON HA AVUTO IL CORAGGIO DI ATTUARLO”
Dopo il fatto di Caldes, c’è da aver paura o l’allarme è esagerato?
“C’è da gestire il fenomeno. Sarebbe necessario mettere in atto tutte quelle procedure che sono scritte nei protocolli d’azione, in questo famoso Pacobace, che è l’acronimo di Piano d'azione interregionale per la conservazione dell'orso bruno nelle Alpi centro-orientali, dove sono già scritte tutta una serie di cose che però in molti casi sono state disattese per problemi politici. Nel senso che sono cose che tecnicamente siamo tutti d’accordo che andrebbero fatte ma la politica non ha avuto il coraggio di fare. Riguarda la gestione degli individui problematici, la comunicazione e via dicendo. Informare la popolazione e gestire gli orsi che si comportano in maniera non appropriata con quel che è il territorio alpino”.
Ma la questione politica è mancanza di coraggio, resistenze, riguarda pressioni di lobby o altro?
“Questo non glielo so dire, so solo che nel Piano ci sono scritte cose che andrebbero fatte e che con tutta probabilità potrebbero minimizzare i rischi per chiunque vada nei boschi, ma queste azioni sono state in larga parte disattese negli ultimi anni”.
Il tema che oggi però emerge, dinanzi al terribile episodio di cronaca, riguarda gli abbattimenti. Gli animalisti sono contrari, chi ha ragione?
“Quel che sta scritto nelle linee guida è il fatto che ci sono alcuni orsi che se fanno alcune cose, già ben indicate e scritte, non possono più esser liberi. Cioè devono venire prelevati perché rischiano di mettere a repentaglio l’incolumità pubblica. Le linee guida prevedono poi che togliere gli orsi dallo stato di libertà – toglierne uno per salvare gli altri novantanove – possa avvenire in due modi: o tramite l’abbattimento, o, mi permetta di chiamarlo così, con l’ergastolo. Un ergastolo che spesso passa per forza di cose attraverso la loro costrizione in recinti più o meno grandi, ma che non saranno neanche lontanamente compatibili con quello che riguarda la vita di un animale selvatico. E spesso con la necessità di dovergli somministrare droghe per tenerli tranquilli. Ecco, cosa rispetti di più la vita di un animale lo lascio decidere alla coscienza di ognuno di noi. Le dico solo che le linee guida prevedono entrambe le cose, ma con un must: il fatto di toglierli di torno nel momento in cui manifestano atteggiamenti pericolosi per l’uomo”.
Però l’orso viene anche ritenuto importante per l’equilibrio ambientale, per l’ecosistema e la sua sostenibilità.
“Certo, questo è alla base anche del fatto che sia stato riportato sulle Alpi. È una delle specie più protette in Europa, sia dalla direttiva Habitat sia dalle leggi italiane e locali. È una specie che appartiene all’ecosistema alpino, è una specie così detta autoctona e quindi la sua presenza rafforza in qualche modo tutta quella rete di relazioni che costituiscono un ecosistema e che permettono anche di assorbire eventuali disturbi dall’esterno. Questo è il valore ambientale, poi c’è un valore culturale o storico. Sono 80 mila anni che l’uomo convive con l’orso con vicende alterne. Ogni tanto sbarazzandosene, però comunque anche con un forte legame mentale, culturale, l’orso è presente in tantissime raffigurazioni, in tantissime nostre idee”.