AGI - Basta con le infinite trascrizioni delle parole dei testimoni e degli indagati, coi cancellieri a capo chino per ore a cercare di rendere intelligibili incertezze, sospiri, mezze frasi annebbiati dalla polvere di montagne di fascicoli di carta.
La rivoluzione tecnologica introdotta dalla riforma Cartabia prevede il passaggio ai ‘video interrogatori’ o meglio prevederebbe perché, stando alle informazioni raccolte dall’AGI, siamo ancora ben lontani dall’obbiettivo. Ed è frequente assistere nelle caserme a scene di volonterosi rappresentanti delle forze dell’ordine che utilizzano il loro smartphone per aggiungere alla galleria di immagini di famiglia e di vacanza anche la ripresa di più o meno impauriti o sfacciati testi o indagati chiamati dalla giustizia a dire la loro o a difendersi da un’accusa.
Nei giorni scorsi, il legale milanese Ettore Traini ha postato sui social una foto che rende bene l’idea dei ‘lavori in corso’: una fotocamera Nikon appoggiata su una valigia in una caserma per registrare l’indagato di turno.
“E' stato il mio primo interrogatorio video dopo 30 anni da avvocato - dice -. La novità è sicuramente apprezzabile ma se non vengono forniti mezzi adeguati rischia di essere depotenziata”. “La polizia giudiziaria si sta industriando come può, alle volte riesumando reperti storici” conferma la collega del foro milanese Elena Scarabelli.
In realtà la stessa riforma Cartabia ha avuto uno scatto di ‘umiltà’ consapevole di quanto fosse ambizioso il progetto iniziale perché nella legge delega, spiega l’avvocato Mauro Straini, “era disposta un’applicazione generalizzata dell’obbligo di video registrazione mentre il decreto delegato prevede solo l’audio registrazione e come possibilità, su richiesta della persona interessata, la ripresa in video, salva l’indisponibilità dei mezzi tecnici”. E proprio quest’ultima formula viene spesso richiamata quando testimoni o imputati richiedano di parlare davanti a una telecamera che però non c’è.
“Ho visto carabinieri tirare fuori l’iphone in un apprezzabile sforzo di praticità” racconta Simone Gatto del foro di Como che approva la riforma a metà. “Va benissimo per i reati gravi, come quelli di criminalità organizzata dove spesso le interpretazioni di quanto viene detto creano problemi, ma per gli altri è un’esagerazione anche perché mi pare che le operazioni tecniche rallentino il tutto”.
Gaetano Scalise, presidente della Camera Penale di Roma, conferma che “come funzionino gli interrogatori in video è ancora un rebus mentre lo spirito della norma mi sembra chiaro. Interrogatori e testimonianze andrebbero video registrate”. Come a Milano, mancano gli strumenti: “Sia pure in modo artgianale, tramite smartphone, sembra che alcune sezioni della polizia giudiziaria lo facciano mentre altre non sono organizzate affatto. Siamo ben lontani da una situazione accettabile. I riformatori non fanno mai i conti con i mezzi a disposizione”. Per Andrea Soliani, che guida la Camera Penale di Milano, è proprio la legge a essere “del tutto inadeguata perché fa decidere ai singoli interessati se farsi riprendere o meno. Uno strumento che vuole essere di garanzia lo deve essere per tutti, non spetta al cittadino decidere se sì o no”. Su come cambi l’atteggiamento delle persone in video le percezioni sono diverse: c’è chi nota maggiore spontaneità, chi osserva che manca la fase dello scambio di battute e di 'leggerezza' quando si stende un verbale.
Comunque una copia scritta viene sempre consegnata ai legali, il video su richiesta. L’avvocato Scarabelli offre un'ironica nota di costume che segna questa prima fase della ‘rivoluzione': “Mi colpisce molto l’attenta ricerca della regia delle forze dell'ordine cui anche Lina Wertmuller andrebbe fiera. Ho visto sforzi davvero incredibili”.