AGI - "Festeggiare l’8 marzo? Ma no, ogni giorno andrebbe festeggiato, in altri Paesi non si fa, non serve. Così facendo dimostriamo di essere indietro. Oggi abbiamo due donne brave alla guida dei maggiori partiti e questo aiuta. Professionismo anche per la Serie B femminile di calcio? Prima ci sono altri problemi da risolvere nel settore. Un’allenatrice donna in serie A maschile? Mah, non so se succederà". Carolina Morace ex calciatrice e stella della nazionale italiana di calcio femminile, di professione avvocato, dice basta all’8 marzo, Festa della donna.
“Siamo uno dei pochi Paesi ancora a farlo - commenta con l’AGI - ho vissuto per diverso tempo all’estero, in Canada e in Australia e non ho mai trovato questo tipo di ricorrenza. Non serve. Lì non ci sono le spiagge o i bar per gay. Si vive normalmente senza distinzioni. Ma l’Italia non riesce a venirne fuori. Siamo indietro, c’è poco da fare, e non è questione di nord o sud, ma proprio di cultura. Perché diventi una normalità, non c’è bisogno del giorno specifico,è una questione di rispetto”.
In Italia i due partiti politici più importanti sono guidati da donne di cui una è anche premier: un segnale positivo? “Certamente, è una condizione che può essere di grande aiuto. Anche perché si tratta di due donne molto preparate. Per cui - spiega Morace- questo è davvero un segnale positivo. Certo, se non fossero state brave non avrebbero potuto aiutare la causa ma loro, anche se qualcuno magari la pensa diversamente, sono due donne davvero molto in gamba“.
Oggi in tema di diritti i giovani sono forse quelli che cercano di farsi sentire di più e che rimproverano aspramente le generazioni precedenti, in particolare per quanto riguarda l’ambiente e il clima. Anche perché diritti come quelli per il riconoscimento delle coppie di fatto, li danno praticamente per acquisiti ipso facto: “I ragazzi hanno ragione a criticare - prosegue l’ex calciatrice - però l’Italia geograficamente è unita da poco tempo, per cui ci sono delle differenze marcate tra una ragione e l’altra, fra un modo di pensare e l’altro anche se, e lo sottolineo, non è questione di Nord e sud. Diciamo più che altro che ci sono delle fasce di persone provenienti da qualsiasi ambiente sociale, prigioniere di retaggi culturali. Un grande problema è poi quello dell’uso del linguaggio. Ancora oggi si usano parole che non andrebbero proferite. Ad esempio, si dice persona di colore, nero…Ricordo che quando andavo a vedere le partite con mia moglie in Australia, mi capitava di dire: ‘guarda che forte quella calciatrice nera!’ Ma nel tempo mi sono accorta che lei, se doveva sottolineare la bravura di una atleta in campo, non la indicava mai in base alla pelle quanto piuttosto se non la conosceva, con il colore degli scarpini, dei capelli, il numero di maglia e mai con riferimento al colore della pelle. E se la conosceva, usava il nome. Io avrei potuto trincerarmi dietro la fatidica frase: ‘ma io non sono razzista… Sto scherzando, sono italiana e gli italiani scherzano…Ecco no, non va bene. Il problema del linguaggio c’è, è reale e le parole vanno usate bene. La lingua è il sentire culturale di una società, le parole sono importanti".
Paura di tornare indietro? C’è questo rischio? "La paura c’è- aggiunge Morace- però, a pensarci bene non si tratta di una vera e propria ‘paura di tornare indietro’: noi siamo già indietro. Noi siamo così”.
Parliamo di calcio, oggi la serie A femminile è entrata nel professionismo, quanto tempo ci vorrà per la B? “Dobbiamo prima risolvere altri problemi - ha spiegato Morace-il professionismo ha raddoppiato le spese per le società che già sono in crisi per quanto riguarda il calcio maschile. Per cui noi del calcio femminile, dobbiamo riuscire ad essere una risorsa per le società. Le idee vanno bene e possono sopperire agli investimenti, ma in primis, c’è un problema di sostenibilità. Le società hanno speso il doppio. E allora, innanzitutto bisognerà trovare un Main sponsor per il campionato che ridistribuisca soldi alle società, altrimenti è tutto più difficile. Serve anche più visibilità al mondo del calcio femminile altrimenti gli investitori non entrano e questo è uno dei problemi più grandi. Quindi, prima di pensare al professionismo nella serie B, e non è che non ci si vuole pensare sia chiaro, ci sono dei problemi abbastanza grandi da affrontare in serie A. Bisogna lavorare sodo“.
Come allenatrice, Morace ha lavorato con la serie C maschile: quanto tempo ci vorrà per poter vedere una donna commissario tecnico in serie A nel massimo campionato? “Non ne ho la più pallida idea - risponde - siamo molto indietro. Non saprei neanche indicare i motivi. Non ci sono magari le occasioni o forse non c’è fiducia, non lo so".
C’è maschilismo nell’ambiente? “Faccio poco testo, con me non succede, lavoro alla Domenica Sportiva - spiega - ho un passato importante ed esprimo opinioni sul calcio. Sono molto rispettata. Per quello che mi riguarda, non ho mai vissuto maschilismo".
Siamo comunque vicini all’8 marzo, anche per le calciatrici non professioniste c’è il problema di coniugare il lavoro che serve per vivere con lo sport e con la famiglia, visto che molte sono madri. “Un problema che avevano anche quelle della mia generazione che non era professionista - sottolinea Morace - tutte andavamo all’università, a scuola, al lavoro. C’era anche chi lavorava in fabbrica e poi alla sera andava a fare gli allenamenti. Certo che c’è tanto sacrificio, e che non puoi dare il massimo! Un conto è allenarsi di giorno e avere tutte le strutture a portata di mano, e possibilmente di qualità come la sala per la fisioterapia, la sala massaggi, quella video. Cose che servono per poter essere al meglio della condizione fisica e per migliorare i rendimenti. Ed è sicuramente ancora così complicato, soprattutto per le calciatrici non professioniste. Lo sforzo - ha concluso - è notevole".