AGI - Avere sedici anni significa fare i conti con un coprifuoco al sabato sera, con un telefono pieno di foto con i compagni di classe, con mille messaggi del primo amore e con una famiglia che aspetta il ritorno, tutte le sere di ogni weekend.
Gaia Von Freymann e Camilla Romagnoli avevano promesso di tornare a casa a mezzanotte, il 22 dicembre del 2019. Al massimo mezzanotte e trenta. Sono state invece travolte, tornando a casa, a mezzanotte e venticinque minuti, mentre attraversavano la strada mano nella mano, dopo una serata in pizzeria con i compagni di classe. A travolgere il suv guidato da un quasi coetaneo, il ventunenne Pietro Genovese, che le cronache diranno poi essere il figlio del noto regista Paolo, e che aveva improvvidamente scelto di mettersi in strada dopo aver bevuto: il tragico epilogo ha sconvolto tre famiglie, compresa la sua. La strada in questione è Corso Francia, luogo simbolo di quella Roma Nord che è sinonimo di Roma “bene”.
Corso Francia si fa teatro di un docufilm, presentato al cinema Odeon di Piazza Jacini, nello stesso quartiere dell’incidente, alla presenza degli stessi studenti del liceo De Sanctis che le due ragazze frequentavano - erano in 5° C - e dei genitori delle due vittime: Gabriella, Edward e Cristina, che da anni si battono per sensibilizzare studenti e famiglie.
Da quella strada prende il nome il docufilm che andrà in onda su Crime + Investigation il 27 e il 28 febbraio (canale 119 di Sky, la regia è di Matteo Lena): si intitola appunto “Morte a Corso Francia - L’ultima notte di Gaia e Camilla”, e dell’incidente racconta dinamiche e retroscena, come fosse un giallo e al contempo un documentario teso alla divulgazione. Protagonisti coloro che in un minuto hanno perso chi un’amica, chi una compagna di scuola, chi una figlia.
“Chi si mette alla guida - ha detto ai ragazzi Edward Von Freymann, papà di Gaia - deve sapere che ha un’arma carica in mano. Distrarsi un solo secondo, guidando a 50 km orari, significa percorrere al buio più di 27 metri”. Von Freymann alla sua Gaia ha dedicato una fondazione, perché non vada perso tutto questo immotivato dolore. “Gaia - ha voluto dire, dalla sedia a rotelle sulla quale vive, paralizzato dal torace in giù, anche lui per le conseguenze di un sinistro stradale subito anni fa - mai avrebbe attraversato col rosso, come era stato detto nei primi giorni dopo l’incidente. Perché io stesso ho avuto un incidente motociclistico, e ho lottato tra la vita e la morte. Gaia era molto sensibile a questo tema, anche per via di questa esperienza”.
“Ogni sera - ha concluso il papà di Gaia - e ogni mattina, io ho sempre davanti agli occhi quel secondo in cui Camilla e Gaia avrebbero potuto salvarsi”.
Il secondo in cui Pietro ha accelerato, quello in cui si è distratto con il cellulare, quello in cui ha deciso di versarsi un bicchiere di vino, poi un altro, e poi guidare. Dal primo grado di giudizio è emerso che il guidatore aveva un tasso alcolemico superiore a quello consentito: forse anche per questo ha attraversato Corso Francia a più di 90 km/h, bruciando i semafori allo scattare del verde.
“Sapete cos’è un semaforo?” Ha chiesto Eugenio Patanè, assessore alla mobilità del Comune di Roma. “È un ordine imperativo delle istituzioni”. L’ordine imperativo delle istituzioni, su Corso Francia quella notte, lampeggiava negli ultimi secondi di luce verde. Gaia e Camilla erano sulle strisce pedonali.
Il taglio del docufilm procede come un poliziesco, con le testimonianze dei ragazzi che si scambiano messaggi su whatsapp per informarsi della tragica notizia ed escono di casa in pigiama, di notte, per andare sul luogo dell’incidente. Con i racconti dei genitori: l’ultima telefonata chiusa un attimo prima dell’impatto, l’insensato dolore del riconoscimento di un corpo sull’asfalto, la parola “bambine” che scappa di bocca parlando delle due adolescenti.
“Ci interessava raccontare - ha spiegato ad Agi Stefano Pistolini, regista e produttore - come si trova il modo di riconciliarsi con la propria vita avendo sempre due amiche e compagne che continueranno ad avere sedici anni per sempre”.
È anche un tema sociale, che coinvolge l’amministrazione romana e la gestione di strade dove troppo spesso si rischia immotivatamente la vita. “Non è un caso - continua Pistolini - che un anno dopo uno dei due amici che erano a cena con loro la sera dell’incidente è morto in un altro incidente in moto nello stesso punto. Si chiamava Leonardo. A chi ha in mano la gestione delle strade romane, l’unica cosa da dire è: pensate che tutti i giorni ci passano i vostri figli, su quelle strade”.
“Il racconto - spiega ad AGI Simone D’Amelio Bonelli, direttore generale di Crime Investigation - si struttura in due parti: la prima ricostruisce l’ultima giornata di Gaia e Camilla nella seconda affrontiamo il processo. Non c’è un mistero da risolvere in questa storia, ma c’è l’intento di sviluppare un tema di interesse sociale”.
“Divulgate”, è la preghiera dei genitori delle due ragazze ai coetanei delle loro figlie.