AGI - Sempre meno giovani abbracciano la vita religiosa, e conventi e monasteri si svuotano fino a chiudere i battenti. La crisi delle vocazioni ha investito anche quello di Santa Chiara a Ravello, centro di spiritualità che racconta sette lunghi secoli di vita claustrale, ritenuto tra le più antiche fondazioni francescane femminili del Paese. Soltanto tre le suore rimaste tra le sue mura per scongiurare il suo declino. Una situazione da delicata che era, sembra oramai irreversibile.
Tra le consorelle rimaste vi è suor Maria Cristina Fiore, 97 anni, a Ravello ininterrottamente dal 1955. E' inferma e di lei si prendono amorevolmente cura suor Angela Maria Punnackal, di nazionalità indiana, e suor Massimiliana Panza, nolana di 46 anni. Dopo alterne vicende che hanno visto i superiori tendere a bloccare qualsiasi attività delle monache che avrebbe potuto anche solo potenzialmente rivitalizzare il monastero, il Dicastero per la vita consacrata (l'organismo della Curia romana che decide la vita religiosa del mondo cattolico), sollecitato e in comunione d'intenti con la federazione, ha decretato la soppressione del monastero di Ravello.
Così nel 2021 è stato nominato un commissario pontificio, un francescano del Santuario di Sant'Antonio di Padova, con l'incarico di censire tutto il patrimonio immobiliare dell'istituzione religiosa, situata in una delle zone più suggestive della città della musica, tra Villa Cimbrone e la Rondinaia che fu dello scrittore Gore Vidal.
Oltre al vastissimo complesso storico monumentale (composto dal corpo centrale con la chiesa, le celle, una foresteria, un grosso rudere e vasti terreni coltivati con vista mare) il monastero detiene, quale frutto di donazioni accolte nei secoli di servizio alla comunità locale, anche la proprietà dell'edificio storico dell'hotel Parsifal e tre locali commerciali in piazza Fontana Moresca che, insieme, pare rendano non meno di 200mila euro l'anno.
Il valore stimato di tutto il patrimonio, mobile e immobile (opere d'arte e fondo librario dell'antica biblioteca compresi) si aggirerebbe tra i 50 e i 60 milioni di euro. Le monache superstiti non vogliono abbandonare il monastero sia per scongiurare che i beni vengano assorbiti di diritto dalla federazione, sia perchè non è mai stata fornita una chiara motivazione dagli organi superiori della loro cancellazione.
Assistite nell'ultimo anno da un legale competente in diritto canonico, hanno ritenuto di salvare i beni da possibili mire speculative e dare seguito a una decisione presa in capitolo ancor prima che ci fosse il commissariamento: donare tutto al Pontefice.
La scorsa primavera, quindi, le tre monache hanno scritto a Papa Francesco offrendogli tutte le proprietà del monastero per la sua carità. Il 25 giugno dal Vaticano il sostituto per la Segreteria di Stato veniva incaricato da Francesco I di comunicare alle monache l'accettazione della donazione.
Ma la gioia delle consorelle è durata davvero poco perché il Dicastero vaticano per i religiosi disponeva il trasferimento, immediato e perentorio, delle tre suore in tre diversi monasteri italiani, col chiaro intento di svuotare, e dunque estinguere il monastero. Finanche l'anziana e inferma suor Maria Cristina avrebbe dovuto lasciare tempestivamente la sede in cui è vissuta per circa settant'anni. Intanto non si è ancora giunti alla formalizzazione del passaggio di proprietà alla Santa Sede.
A oggi le monache restano nel limbo, ma rischiano di essere allontanate forzatamente da un giorno all'altro. E così suor Massimiliana e le altre resistono per sola obbedienza a Papa Francesco in attesa di un suo intervento decisivo.