AGI - "Benedetto, fedele amico dello Sposo, che la tua gioia sia perfetta nell'udire definitivamente e per sempre la sua voce!". Si conclude cosi' l'omelia pronunciata da Papa Francesco durante la messa esequiale del Pontefice emerito Benedetto XVI. Un'omelia ricca di riferimenti spirituali, nella quale, Francesco nelle frasi riferite al totale affidamento di Gesù al Padre, ripercorre la vita di Benedetto XVI: una vita concentrata e affidata fino alla fine a Dio.
Bergoglio ringrazia il suo predecessore per quanto "ha saputo elargire nel corso degli anni", "sapienza, delicatezza e dedizione". Nessun riferimento al suo rapporto personale e affettuoso con il Papa emerito, come qualcuno si aspettava. Francesco però riprende in più parti quanto scritto da Ratzinger nel corso del Pontificato: dall'enciclica "Deus caritas est", dall'omelia della messa crismale del 13 aprile 2006 e dall'omelia della messa di inizio Pontificato, il 24 aprile 2005.
Dalle ultime parole di Gesù in croce ("Padre, nelle tue mani consegniamo il suo spirito"), parte la riflessione di Bergoglio che invita la comunità ecclesiale ad "affidare" Benedetto "alle mani del Padre". "Che queste mani di misericordia trovino la sua lampada accesa come l'olio del Vangelo che egli ha sparso e testimoniato durante la sua vita", afferma a una piazza gremita, 50 mila fedeli, e dalla quale, alla fine della celebrazione, sale il coro di "Santo subito!".
"E' la consapevolezza del Pastore - ha detto sempre riferendosi a Ratzinger e alla sua omelia di inizio Pontificato - che non può portare da solo quello che, in realtà, mai potrebbe sostenere da solo e, perciò, sa abbandonarsi alla preghiera e alla cura del popolo che gli è stato affidato". "E' il Popolo fedele di Dio che, riunito, accompagna e affida la vita di chi è stato suo pastore. Come le donne del Vangelo al sepolcro, siamo qui con il profumo della gratitudine e l'unguento della speranza per dimostrargli, ancora una volta, l'amore che non si perde; vogliamo farlo con la stessa unzione, sapienza, delicatezza e dedizione che egli ha saputo elargire nel corso degli anni. Vogliamo dire insieme: 'Padre, nelle tue mani consegniamo il suo spiritò", la sua conclusione.
Dopo la celebrazione, il rito dell'Ultima Commendatio e della Valedictio, al termine del quale un lungo applauso e un coro di "Santo subito!" si sono levati dalla piazza. Papa Francesco ha appoggiato una mano sul feretro e in piedi ha sostato qualche minuto in preghiera. Poi la bara è stata portata dai 12 sediari all'interno della Basilica per procedere alla tumulazione nelle Grotte vaticane, nella tomba che fu di Giovanni Paolo II.
Un applauso fragoroso e al contempo misurato ha accompagnato stamani - insieme ai nove rintocchi delle campane a morto in San Pietro - l'uscita del feretro del Papa emerito sul sagrato della Basilica per la recita del rosario. Salma portata in spalla da 12 sediari e sulla quale poi, il suo segretario personale, monsignor Georg Gaenswein, adagia un Vangelo aperto. Subito dopo si inchina e bacia il feretro, che all'interno contiene le monete e le medaglie coniate durante il suo Pontificato, il pallio e il Rogito.
Due le delegazioni ufficiali, quella tedesca e quella italiana (in prima fila il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il premier Giorgia Meloni), diciotto le altre giunte a titolo personale. Tante anche le delegazioni ecumeniche.
Alle 9:20 entra in piazza Papa Francesco in sedia a rotelle per dare il via alla messa esequiale concelebrata da circa 130 cardinali, 400 vescovi e quasi 3.700 sacerdoti.
Le mani di Gesù, dice Francesco sono "di perdono e di compassione, di guarigione e di misericordia, mani di unzione e benedizione". Ma anche "mani piagate che vanno incontro e non cessano di offrirsi, affinchè conosciamo l'amore che Dio ha per noi e crediamo in esso". Ed ecco che Bergoglio parla della "synkatabasis totale di Dio", parla della "dedizione grata di servizio al Signore e al suo Popolo che nasce dall'aver accolto un dono totalmente gratuito" e della "dedizione orante, che si plasma e si affina silenziosamente tra i crocevia e le contraddizioni che il pastore deve affrontare e l'invito fiducioso a pascere il gregge".
"Pascere vuol dire amare, e amare vuol dire anche essere pronti a soffrire. Amare significa: dare alle pecore il vero bene, il nutrimento della verità di Dio, della parola di Dio, il nutrimento della sua presenza", sottolinea il Papa riportando un passaggio dell'omelia di inizio Pontificato del suo predecessore.
Francesco cita infine San Gregorio Magno che, al termine della Regola pastorale, invitava ed esortava un amico a offrirgli compagnia spirituale: "In mezzo alle tempeste della mia vita, mi conforta la fiducia che tu mi terrai a galla sulla tavola delle tue preghiere, e che, se il peso delle mie colpe mi abbatte e mi umilia, tu mi presterai l'aiuto dei tuoi meriti per sollevarmi".