AGI- Un uomo gentile, curioso, un pò timido ma capace poi di un'ironia a volte tagliente. Uno studioso, vescovo e poi pontefice che per tutta la vita ha cercato - e ha detto - la verità. È il ritratto di Joseph Ratzinger tratteggiato da Giovanni Maria Vian, storico e giornalista, direttore dal 2007 al 2018 dell'Osservatore Romano e autore di numerosi volumi, ultimo 'Il Papa senza corona' (edito da Carocci) sulla figura di un altro pontefice, Giovanni Paolo I.
Conversando con l'AGI, Vian descrive una persona molto diversa da quella che spesso nell'opinione pubblica e nei media è emersa: "La sua - racconta - è stata una testimonianza limpida e coraggiosa. Da vero intellettuale, è stato un uomo curioso, ha cercato di entrare in contatto con tutti, come prete e come teologo ha pensato e ha parlato di Dio". Piuttosto diverso da quello che la vulgata dipinge: "è uscito da un'esperienza tragica come la Germania nazista, e ne è uscito in modo tutto suo, ricercando nella tradizione cristiana il modo di entrare in contatto con gli uomini del suo tempo".
Insegnando teologia, ricorda Vian, "si è trovato a contatto con persone di ogni tipo, protestanti, agnostici, atei, di sinistra, di destra. Da qui la sua capacità di dialogare con tutti, anche se certo sul rapporto con le folle era molto diverso da Wojtyla, di cui pure fu il consigliere teologico".
Uno studioso che spesso la storia ha messo di fronte a scelte di vita diverse dai suoi sogni, ma che ha sempre saputo dire sì, anche nella chiamata al pontificato: "Già nel 1977 - racconta il direttore emerito dell'Osservatore - quando viene nominato arcivescovo nella sua Monaco (più che papa tedesco, lo dovremmo meglio definire papa bavarese), è una svolta che forse lui non sentiva pienamente confacente alla sua personalità. Il governo non è mai stato il suo forte. Ma accettò, e divenne così cardinale e uno dei grandi elettori di Wojtyla nel 1978, che subito provò a chiamarlo a Roma. Ratzinger resistette qualche anno, poi alla fine del 1981 si convinse, dopo l'attentato in cui Giovanni Paolo II andò a un passo dalla morte. A patto, disse a Wojtyla, di poter continuare a fare il teologo".
Il resto è storia nota: gli anni da prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, e le ripetute richieste di essere messo a riposo per tornare ai suoi studi a tempo pieno. Fino all'elezione a Papa, 8 anni non facili conclusi con le dimissioni: "Ha fatto quello che ha potuto - spiega Vian - si è fidato delle persone più vicine, che spesso non si sono rivelate alla sua altezza. La comunicazione vaticana non lo ha aiutato molto, e sono tanti gli infortuni di cui non è stato responsabile ma di cui si è sempre preso tutte le colpe".
Grande teologo, insomma, ma uomo di governo "forse fin troppo gentile; non apprezzava gli scontri, e questo in certi casi è un limite. Ma ha dimostrato anche un coraggio leonino, per esempio sugli abusi del clero: già nel 2005 parlò clamorosamente della 'sporcizia' nella Chiesa. E poi pose fine allo scandalo del fondatore dei Legionari di Cristo, e tentò radicali riforme finanziarie. Non si è dimesso per questo, ma proprio perché non aveva più le forze, come del resto ha detto lui stesso, e lui, come ho premesso, ha sempre detto la verità. Nel 2010 nel libro-intervista 'Luce del Mondo' aveva detto chiaramente che non si scappa quando c'è una crisi, ma aveva aggiunto che se un papa capisce di non farcela più non solo ha il diritto, ma il dovere di rinunciare. E questo tre anni prima delle dimissioni".
Che, quando arrivarono, sconvolsero il mondo, tranne "i pochissimi, una decina di persone, che lo sapevano. Lui aveva già deciso un anno prima, e già si era stabilito che l'alloggio sarebbe stato il Mater Ecclesiae in Vaticano. Lo decise dopo il viaggio in Messico e Cuba, da cui tornò fisicamente distrutto".
Un uomo complesso, sfaccettato, che nella sua biografia prima di diventare il simbolo ("caricaturizzato", chiosa Vian) di un certo conservatorismo ecclesiastico era stato un giovane teologo che in Concilio Vaticano II aveva contribuito alla svolta riformatrice.
"Ma non si è mai pentito - racconta Vian - si pensi che quando gli chiesi uno scritto per i 50 anni del Concilio, nel 2012, mi permise di anticipare la prefazione dei suoi scritti conciliari, in cui sostiene che proprio il Vaticano II aveva ridato linfa a un Cristianesimo 'in declino'. Poi certo ha sottolineato l'eccesso di alcune fughe in avanti, ma sempre in coerenza con quel pensiero. Se c'è un papa che ha criticato l'istituzione Chiesa è stato lui". Il 'Pastore tedesco' di cui tanto si parlava, giocando sul doppio senso della definizione, era insomma "una caricatura, un'etichetta. Era molto più aperto di Wojtyla. Che forse su un punto era più fiducioso: il dialogo interreligioso, che Benedetto XVI vedeva con più realismo".
E poi, da papa emerito, "ha sempre rifiutato di diventare il punto di riferimento di frange più conservatrici, di opposizione. Ed è sempre stato molto leale con Papa Francesco". Il teologo, e poi il papa, non erano diversi dall'uomo Ratzinger: "Un tratto che mostra la sua indole profondamente gentile è l'amore nei confronti dei bambini, degli anziani, e persino per gli animali, simile in questo a Paolo VI: negli ultimi anni aveva due gattini in giardino, uno bianco e uno nero, cui era molto affezionato. Era molto sereno, prima di Pasqua gli portai dalla campagna una crostata. Era molto contento e, come sempre, curioso. Gli restava un filo di voce, ma era in pace".