AGI - Merce rara, che un Papa chieda scusa. Bergoglio, a rapida memoria d'uomo, lo fece tre anni fa: aveva dato una gran manata al polso di una pellegrina orientale che, presa dall'entusiasmo, lo stava strattonando per la manica. Il rincrescimento fu pubblico come pubblica era stata la manata: Francesco lo espresse all'Angelus, il giorno dopo, ad altre migliaia di pellegrini anche loro in Piazza San Pietro. Allo stesso modo oggi si attivano i canali diplomatici per ricomporre ciò che non è stato percepito esattamente come diplomatico. Le parole, vale a dire, usate dal Pontefice sulle truppe di occupazione russe in Ucraina.
Non solo sulle truppe in generale, quanto semmai su quelle composte da ceceni e buriati. A loro il Papa ha riservato l'appellativo di feroci, e per di più l'ha fatto in una intervista e per di più ancora in un'intervista ad una rivista che si chiama "America", quella dei gesuiti d'Oltreoceano. Nomi, definizioni e contenuti che hanno drizzato gli aculei del Cremlino. Sempre il Cremlino annuncia adesso, non senza trasudare soddisfazione, che il caso è chiuso e questo perché - parole della portavoce del ministero degli Esteri, Maria Zakharova, citata dall'agenzia russa Tass - la Federazione Russa ha ricevuto le scuse dal Vaticano.
Tutto passato, quindi. Nel frattempo però la Santa Sede ha dovuto registrate una profonda battuta d'arresto nel tentativo, in corso fin dall'inizio del conflitto, di porsi come mediatrice tra le parti in lotta. Se Parigi val bene una messa, insomma, la pace val bene un atto di contrizione.
Tanto più che la frase su ceceni e buriati era stata usata fin dall'inizio, con una certa spregiudicatezza, dal Cremlino come dal signore ceceno della guerra, Kadyrov, per prospettare da parte vaticana - quindi del mondo latino cattolico che magari grossolanamente viene identificato in Russia come il nerbo dell'Occidente - un atteggiamento discriminatorio verso due minoranze etniche l'una buddista e l'altra musulmana. In altre parole: una forma di guerra santa strisciante.
Niente di più lontano dall'attuale pontificato, che ha visto incontri inimmaginabili con leader sciiti iracheni e dichiarazioni di fratellanza con imam sunniti arabi; ugualmente resta una seducente forma d'accusa per le orecchie di milioni di persone. Qualcosa che non ci si poteva permettere. Ecco allora che, si rende noto, "la Santa Sede ha profondo rispetto per tutti i popoli della Russia, la loro dignità, fede e cultura, così come per gli altri Paesi e popoli del mondo".
Normalmente scuse di questo genere arrivano per lettera o con un colloquio. La Tass informa che si è mosso il segretario di Stato, Pietro Parolin, senza esplicitare la modalità. Testi di missive non sono emersi, in compenso l'ambasciata russa presso la Santa Sede è stata visitata di persona dallo stesso Papa all'inizio della guerra. Un indizio. La sostanza comunque non cambia perchè la diplomazia è forma, ma la politica per l'appunto è sostanza e bada al sodo.
Di qui le mosse che hanno, fin da subito, anticipato il futuro. Francesco ha ricevuto un gruppo di diplomatici, contemporaneamente all'annuncio russo, e ha messo in guardia contro la Terza Guerra Mondiale a pezzi che si sta dipanando per il Pianeta, quindi ha invocato la costruzione della pace contro le guerre che, trascinandosi a lungo, generano una pericolosa assuefazione. Occorre, ha concluso, dare risposte di pace. Possibile traduzione: adesso ricominciamo a parlare.
Il Cremlino da parte sua ha dichiarato la fine dello scontro con parole generose: "La capacità di ammettere i propri errori sta diventando sempre meno comune nella moderna comunicazione internazionale. Questa situazione mostra che dietro gli appelli al dialogo del Vaticano c'è la capacità di condurre questo dialogo e di ascoltare gli interlocutori. Tutto ciò esige sincero rispetto".
Ma attenzione: l'inciso sulla capacità di condurre il dialogo e saper ascoltare potrebbe lasciar intravedere che l'apertura non è incondizionata, e che ci si aspetta dal Vaticano qualcosa di più di una vaga comprensione per le richieste russe. Insomma, tutto deve ancora essere giocato, tutto deve ancora essere detto. Intanto si trova in una posizione meno felice di ieri il presidente ucraino Zelensky: da questo momento in poi almeno formalmente ogni suo no, ogni sua richiesta di resa senza condizioni sarà un passare dalla parte di chi la pace non la vuole: al di là delle ragioni, dei torti e del diritto internazionale.
E da ultimo ci si può chiedere cosa abbia, in fondo, da guadagnare il Vaticano oltre ad una bella figura come sempre la fa chi mete pace tra due litiganti. La risposta l'ha già data il cardinal Parolin, l'altro giorno, con un lungo ed articolato intervento all'ambasciata italiana presso la Santa Sede. è ora, ha spiegato, di rilanciare una nuova forma di processo di Helsinki sul modello della Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa del 1974.
Detto per inciso: quella volta a svolgere un ruolo centrale fu il suo predecessore Casaroli. I sovietici seduti al Cremlino all'epoca dei fatti si accorsero troppo tardi della portata di quell'intesa, da cui scaturì la Primavera dei Popoli in Europa. La storia del Continente si avvia ad una nuova fase: c'è chi lo ha capito e si prepara. E tutto ciò - davvero - val bene le scuse di un Papa.