AGI - Nel primo pomeriggio torna tutto come prima. Fuori del bar non c'è più nessuno: i corpi sono stati portati via, come anche il presunto assassino. I presenti hanno raccontato una scena da quindici minuti di follia. Adesso la follia cede il passo alla noia della normalità. Un palazzo, uno spazio verde che in realtà spesso è un campaccio sterrato. Un altro palazzo. Alberi. Marciapiedi che collegano il niente al nulla.
Nessuno o quasi ha mai raccontato queste periferie fatte di una gentrificazione malriuscita. Non c'è mai stato un Pasolini o nemmeno uno Zavattini a immaginare storie tra queste strade, ma il motivo è presto detto: qua non vive e non ha mai vissuto Accattone, e nemmeno Totò il Buono. Via Monte Giberto è differente, anche se ancor più periferica. Persino terra di confine: tra la Capitale ed un immenso hinterland dove si muovono, esistenze né di campagna né di città, uomini e donne senza un punto di gravità cui aggrapparsi.
Più periferia della periferia, nonostante le pretese. Il Fosso di Sant'Agnese, quello in cui De Sica immaginava "Il Tetto", era molto più spostato verso il centro, almeno sei chilometri.
Era: adesso giace sepolto sotto il prolungamento della Tangenziale Est. Prima di morire, però, ha fatto in tempo a vedersi costruire accanto un compound, un insediamento, insomma un gruppo di palazzi chiamato "Il Prato della Signora", che ha fatto da scuola a tutto il resto con le sue piscine condominiali e i suoi giardini. Era la fine degli anni Settanta, ma l'idea non è cambiata: fare di questa parte di Roma Nord il luogo della media borghesia, il ceto che non desidera necessariamente il salto sociale ma nemmeno accetta la regressione.
I migliori architetti contro i peggiori materiali
Qua, a via Monte Giberto, si misura quanto quell'idea fosse azzardata. I palazzi sono nuovi, con tanto verde e pieni di luce, ma chi vi abita può raccontare che le tecniche edilizie non assicurano la privacy e lasciano spazio alla trasmissione indesiderata del decibel. Le strade, i marciapiedi hanno già i loro tristi avvallamenti coperti di un asfalto pieno di rughe. A voler osare, viene in mente Brasilia: i migliori architetti contro i peggiori materiali, e vincono inevitabilmente questi ultimi. E nel mezzo alle dimore degli uomini un verde poco curato dove razzolano i cinghiali. Anch'essi creature né di campagna, né di città.
Non è solo questione di sovrappopolamento della fauna selvatica; è che qui inizia davvero la campagna. O meglio, finisce la città. Dietro scorre con le sue sei corsie il Grande Raccordo, vero e proprio pomerium della Roma contemporanea. Urbe Eterna, trova qui il tuo limite, ché oltre non puoi andare. Sotto i palazzi intorno, del resto, sorgevano antiche città sabine: Fidenae, Crustumerium. Quelle del Ratto con stupro di gruppo ordinato da Romolo, linfa vitale assorbita da Roma e mai più restituita.
La gente, in effetti, vive a metà strada tra qui e la Sabina, come i protagonisti di questa tragedia. Vive da pendolare tra il centro e i piccoli comuni dell'agro, quelli dove si sperava una volta trovassero brodo di coltura le Silicon Valley de noantri e le start-up, ma a parte qualche infrastruttura luminosa e qualche rotonda pretenziosa, tutto o quasi è rimasto come prima. Si va certo al grande centro commerciale, senza però che emerga persino nei paesi più vecchi un punto di aggregazione, una piazza o una fontana. Al massimo ci sono i bar, come quello della strage. Significativo il particolare: per le riunioni di condominio una volta si affittavano i locali parrocchiali, qui non pare ci sia nemmeno un prete per una chiacchierata.
Di fronte a quel bar è passato cento volte il giovanotto poliglotta con studi all'estero che in zona vende aspirapolveri. Sorride e non ti dice il nome perché non può rovinarsi lo spazio vitale per gli affari. "Inutile che domandi, qui non parla nessuno" taglia corto, ed è vero. Più che per reticenza, per assenza: comprate le paste, ogni domenica la gente si ritira in casa e se poi esce è per andare, anche stavolta, in centro per i regali. Dice che hanno rimesso le bancarelle a Piazza Navona, dice che il Comune ha organizzato delle navette.
Chi sono? "Venditori che girano per le fiere con l'alimentare, ma anche impiegati e persino ufficiali" riferisce l'esperto giovanotto. L'aeroporto dell'Urbe in effetti non è lontano, lì dove si è schiantato contro un muro, quest'estate, quel Massimo Bochicchio che con i suoi giri di soldi mise nel sacco la vera Roma Nord e i suoi canottieri. No, qui il giro è diverso: il ceto è medio, quello che forse oggi si definirebbe impoverito o che comunque ha meno motivi per guardare, rispetto a una volta, al domani. Il risparmio in banca non è alto, le prospettive mica tanto rosee.
Il labile confine tra convivenza e rivalità
Inutile dire che il covid, con la sua onda lunga che incide sulla psiche, qui il segno lo ha lasciato e lo lascia ancora. Facile sociologismo un tanto al chilo, immaginare che dietro il fattaccio di via Monte Giberto ci sia una storia di onnubilamento aiutato dalle solitudini e dalle disgrazie familiari. Ad ogni modo è evidente che la convivenza poco curata diventa facilmente tremenda rivalità. Qua uscire di casa, ai tempi del lockdown, era più facile che non nella cerchia dell'anello ferroviario, ma poi si poneva il dilemma: per andare dove, per vedere chi? Anche il killer, anche le vittime in fondo non le conosceva nessuno, trovatesi com'erano per coincidenza sotto un capannone del bar del quartiere.
E ci si scopre così come ci si scopriva un paio di inverni fa quando dopo un inutile giro in macchina si parcheggiava nel portico sottostante il palazzo con accesso diretto all'ascensore: più estranei gli uni agli altri di quanto non si fosse immaginato. Il nulla che conduce al vuoto che porta al niente. Doveva essere Brasilia, invece è la Rocinha.