AGI – Le stazioni cinesi di polizia? Non esistono, c’è invece un delicato problema di ‘controllo digitale’ da parte del governo cinese sui cittadini che vivono all’estero, Italia compresa. Lo spiega all’AGI il professor Daniele Brigadoi Cologna, professore associato di Lingua e Cultura Cinese all’Università dell’Insubria parlando del rapporto dell’Ong Safeguards Defenders secondo il quale nel mondo ci sarebbero cento posti di polizia segreti per controllare i cinesi.
Cosa sono i 'centri di servizi' cinesi presenti anche in Italia
“Cominciamo col dire che i pattugliamenti congiunti di poliziotti italiani e cinesi, sia in Italia che in Cina, sono fatti sulla base di accordi tra i Paesi a beneficio dei turisti” sostiene il docente. Secondo Cologna, a generare confusione sono i ‘centri di servizi cinesi’ voluti dal governo per agevolare chi è migrato fuori dai confini.
“Non sono centri clandestini ma hanno cominciato a essere creati quando, a partire dal 2010, è cambiato l’orientamento dello Stato cinese sulla diaspora nei confronti della quale, fino a quel momento, c’era una politica di non interferenza. La nuova politica invece mette al centro di ogni iniziativa il ‘sogno cinese’ della rifondazione nazionale di cui fanno parte anche i cittadini cinesi all’estero”.
Ecco dunque sorgere, anche nelle città italiane, “questi centri di raccordo operativo tra i due Paesi, utili anche a permettere di svolgere attività burocratiche, senza sfiancanti viaggi da un Paese all’altro, come certificati di morte o di non matrimonio in Cina per sposarsi in Italia o per pratiche sugli immobili di famiglia”.
I centri “agiscono insieme alle associazioni cinesi che interagiscono con le diplomazie, fatto questo abbastanza anomalo. Sono stazioni di polizia? Assolutamente no. Il Governo cinese non sarebbe così improvvido da consentire una violazione palese della sovranità di un altro Stato. E le persone che stanno nella associazioni non hanno il profilo culturale e sociale per fare i poliziotti, ve l’assicuro. Sono spesso imprenditori che non parlano bene né il cinese né l’italiano”.
Cosa è successo di "preoccupante" dopo la pandemia
Qui si apre il tema che dovrebbe essere invece oggetto di attenzione e preoccupazione. La svolta è stata la pandemia. "Questi centri fino al Covid un po’ sonnacchiosi hanno dovuto svolgere un’attività molto intensa per ritorni delle persone in Italia o Cina, mascherine, farmaci. Il governo cinese ha fatto in modo che i cinesi all’estero potessero accedere ai portali del Paese d’origine per avere informazioni pratiche, una circostanza accolta di buon grado dai cinesi ma pericolosa perché così il sistema di controllo ‘a reticolo’ che c’è in Cina è stato esteso anche a loro”.
Questo è il punto delicato: “Occorre capire se la sovranità digitale del nostro Paese è violata e si configurano aspetti contrari alla privacy. Ricordiamoci che le app per il Covid cinesi indicavano alle altre persone nello stesso luogo se c’erano degli infetti, quindi contenevano informazioni non solo sulla propria salute ma anche su quella degli altri”.
Resta una domanda: perché la ong e i media avrebbero dato così tanto risalto alle ‘stazioni di polizia’ che non esistono?. “Il rapporto è moto vago – afferma il professore – ma non riporta nessuna evidenza che esistano davvero. L’impressione è che convenga agli interessi di certi imprenditori individuare aspetti denigratori sulla Cina e la stessa Ong, col suo fondatore Peter Dahlin che venne arrestato con un abuso anni fa in quel Paese, ha un contenzioso aperto con la Cina".
Quanto agli esuli che Pechino cercherebbe di catturare, “lo fa tramite l’Interpol o l’intelligence, certo non con le associazioni sul territorio che non sarebbero in grado di portare avanti operazioni di questo tipo”.