AGI - Un appello al nuovo esecutivo "affinchè la Legge delega sulla non autosufficienza venga considerata e non lasciata in un cassetto". Lo rivolge il presidente di Confcooperative Sanità, Giuseppe Milanese, in un'intervista all'AGI. Il provvedimento approvato lo scorso ottobre dal governo Draghi, che riguarda potenzialmente i 3,5 milioni di anziani non più autosufficienti e le loro famiglie, dovrà ora attendere i decreti attuativi da parte dei nuovi inquilini di Palazzo Chigi.
Secondo Milanese, la legge "riguarda una generazione che ha costruito questo Paese, loro meritano la nostra attenzione. Poi possiamo anche cambiarla, ma si tratta di temi che vanno affrontati con la dovuta gravità. Dopo il problema del caro energia, non penso ne esista un altro più urgente".
Il presidente della federazione nazionale che rappresentanza le Cooperative di medici, farmacisti e delle altre categorie sanitarie spiega che "è importante dare attenzione agli anziani ed è un merito che questa legge si rivolga finalmente a loro. Stiamo lasciando un'intera generazione in mano a una rete che non è all'altezza perché molte residenze non sono di qualità e, anche quando non lo sono, i diretti interessati preferiscono essere curati nella loro casa, naturalmente quando esistono le dovute condizioni sociali, familiari e strutturali. Non sempre si può fare assistenza domiciliare ma, quando si può, l'anziano lo preferisce".
A fronte di una popolazione che invecchia costantemente come quella italiana, con un'età media di 45,9 anni, l'assistenza domiciliare secondo Milanese diventa il perno per far fronte a un sistema di cure che altrimenti non sarebbe sostenibile. La nuova frontiera è "portare l'ospedale a casa delle persone".
Ma, "affinchè l'assistenza domiciliare diventi realmente in linea con i Lea bisogna avere una regia unica in tutta Italia, non ventuno diverse - spiega ancora all'AGI il presidente della federazione - con regole chiare di ingaggio per gli erogatori che, a loro volta, devono essere accreditati e competere per qualità, su regole chiare ed omogenee. Le persone devono avere il diritto di scegliere tra diversi erogatori, lo Stato deve programmare e controllare. Inoltre, anche l'assistenza domiciliare non è indifferenziata ma deve sviluppare competenze specifiche e settoriali. è fondamentale la formazione, a partire da quella generica che consenta ai medici di riacquistare una tecnicalità oggi persa negli ospedali perché lì ci sono i macchinari. Ma in casa non è così, serve la semeiotica".
Accanto alla formazione tecnica ce n'è un'altra altrettanto preziosa, quella valoriale. "Entrare in una casa vuol dire diventare parte di tutto ciò che quel luogo genera, si entra nel dolore delle persone". Assistere a domicilio, quindi, non è come farlo in corsia. "I nostri operatori hanno bisogno di supporto psicologico che non può essere appaltato al singolo, serve un'azione centrale di formazione. Bisogna individuare risorse che si formino su questi temi". Secondo Confcooperative Salute, bisogna inoltre insistere sulla prossimità.
"Guardiamo a quanto spreco c'è per la carenza di modelli socio sanitari, si pensi a quanto sarebbe diverso, per i nostri anziani, se nel sistema territoriale esistesse una rete di punti dove rivolgersi in prima istanza per informarsi sulle possibilità di assistenza. Oggi si parla molto di telemedicina, ma ci stiamo rivolgendo a una generazione che non è nativa digitale. A loro dobbiamo garantire supporti di prossimità e, a mio giudizio, non c'è niente più vicino delle farmacie e della medicina generale".
Ma tutto questo si può attuare solo avendo a disposizione le risorse umane e nemmeno il Pnrr sembra venire in soccorso, in questo senso. "Il Piano nazionale di ripresa e resilienza ci da mattoni, a noi servono persone. Se si prevedono delle case di comunità ogni 50mila abitanti, chi ci va a lavorare visto che c'è già carenza nei pronto soccorso? - si chiede Milanese. La risposta, secondo il presidente, è in un grande piano nazionale di formazione e inserimento. "Bisogna formare rapidamente profili sociosanitari specializzati, con un anno di corsi che, però, devono essere gestiti a livello centrale e non periferico. In questo modo avremmo una figura sanitaria nuova che, inoltre, darebbe un un'occupazione a quel quarto di giovani che non studiano nè lavorano".