AGI - “Noi guardiamo alla pagliuzza dei rave party, ma non ci accorgiamo della trave dei city party, che sono in tutte le piazze d’Italia ogni sera. E mi meraviglio che l’intellighenzia italiana non lo rilevi ma si accanisca solo su un’ipotesi liberticida, che condivido, ma che non condivido più nel momento in cui su tutto il resto si sorvola. Siamo imbarazzati. E perché lo siamo? Perché siamo i genitori di questa generazione”.
Il professor Paolo Crepet, psichiatra, sociologo, educatore, saggista e opinionista, è a dir poco indignato dal dibattito che si sta svolgendo su rave party, decreti di governo e dintorni. Non ci sta, c’è qualcosa che non torna. “È chiaro che qualsiasi legge che proibisca le opinioni individuali e collettive è per me motivo di raccapriccio. Premessa ovvia – aggiunge – ma non scontata. Così come è evidente che in una università si debba discutere, anche in modo animato, secondo ciò che si pensa e le idee che si professano nel confronto. La violenza non l’ho mai capita né condivisa o assecondata. Non m’è mai piaciuta, neppure da giovane, mi è sempre sembrata una facile scappatoia per esporre poche cose e mal congeniate”.
Cosa non la convince, professore, in questa levata di scudi sui rave party?
“Credo che guardare la realtà e non accorgersi di una enorme espansione del mercato della droga, dell’alcol e di tutto quel che vi sta dietro sia miope. Nasconde cecità. Non si può essere con don Ciotti quando si parla di esporsi contro le mafie e poi chiudere gli occhi e non sapere che la piazza dietro l’angolo è piena di pusher”.
Anche lei è contro i rave party?
"Non sono contro i rave, sono contro tutti quei luoghi dove si fa finta che non si stiano compiendo dei reati. Vendere a un ragazzo o una ragazza di 14 anni alcol è un reato. Non si può, non si deve”
C’è una soluzione?
“O cambiamo le leggi o continuiamo a favorire la vendita di alcol. Ma allora, a questo punto, perché non a 12 anni, a 11 o a 10? Ci esponiamo a un pensiero no limits, ma è una responsabilità che io non mi prenderei…”.
Circola troppo alcol e non solo quello?
“Dico semplicemente che i rave party oggi sono in tutte le piazze d’Italia. Il concetto è chiaro? Il nesso è questo. L’altra sera ero a Bologna, c’era un baretto con una musica tecno assordante, che squassava anche lo stomaco. Era dopo la mezzanotte, ma non c’era affatto aria di smobilitazione. Si vede a occhio nudo che quei ragazzi barcollano”.
C’è un rave party diffuso a cielo aperto, altro che quelli illegali, è questo che intende dire attraverso la metafora della pagliuzza e della trave?
“Non facciamo gli Heidi, per favore. Dietro a questo c’è un mercato, un mercato bell’e buono fatto di mescita, di chi vive di questo. Secondo me c’è anche un problema vagamente fiscale, così come nel rave party di Modena non credo che facessero gli scontrini a mezzanotte, vendevano di tutto. C’è qualcuno che c’ha guadagnato da quella tre giorni e tre notti. E non ha 14, 18 o 22 anni, ne ha probabilmente 60”.
Bisogna vietare l’alcol?
“Il punto vero è che poi non possiamo andare al funerale di un ragazzo di 18 anni, figlio di due giornalisti, e poi raccontare solo due giorni dopo di un’altra ragazza di 22 anni uccisa da un suo coetaneo perché ubriaco e con segni di droga. È una strage. Un’altra vita che se ne va via per sempre. Ma è vita questa? Non possiamo fare gli intellettuali con una doppia morale, né andare ai funerali con il cappello in mano e poi non fare nulla perché quel che è accaduto non si ripeta più”.
Torniamo alla teoria dei city party, cosa non funziona?
“I rave o city party sono ciò che noi abbiamo ammesso a noi stessi. Non possiamo però arrabbiarci con quelli di Modena e non farlo con quelli di piazza Verdi a Bologna. Li separano 50 km, ma è la stessa cosa. Non mi si dica che al rave party ce n’erano di più, lo so anch’io questo, ma se alla fine conto tutte le piazze di Bologna presumo facciano lo stesso numero, se non di più… la stessa quantità di alcol e droga. Oppure noi diciamo, come disse il primo ministro, ‘so’ ragazzi’… Possiamo dire che è un’opinione, ma io non lo direi ‘so’ ragazzi’, perché vallo a dire a quella ragazza di 22 anni o ai genitori di Francesco Valdiserri che stavano entrambi passeggiando tranquilli lungo una strada o persino sul marciapiede. Son ragazzi? Non lo so se siano ragazzi quelli che guidavano la macchina…”.
Lei si riferisce alla premier Meloni?
“Mi riferisco al fatto che quando ci fu il Consiglio dei ministri e venne fuori un’ipotesi, non so quanto realistica, di controllo anche delle telefonate per intercettazione, allora - secondo indiscrezioni di stampa, relata refero – veniva riportata questa battuta della premier secondo cui ‘no, non scherziamo, so’ ragazzi…’. Questo la dice lunga... Ovviamente è stata interpretata, e giustamente, non si sta parlando di mafiosi, di camorristi che stanno facendo chissà quale business… perciò la battuta ‘so’ ragazzi’ è per certi versi anche condivisibile perché poi stiamo parlando della generazione dei nostri figli. Certo che ‘so’ ragazzi’ e pure ragazze, ma è proprio perché sono ragazzi che ci dobbiamo preoccupare e prendere provvedimenti”.
È preoccupato per le sorti di questa generazione?
“Non voglio generalizzare, ma non mi si venga a dire che un fenomeno come quello accaduto solo 36 ora fa a Trastevere, con un gruppo di quindicenni che son corsi dietro a due signori con i coltelli e questi si son dovuti rifugiare alle tre di notte in un ristorante a via Natale del Grande, sia scontato. I quindicenni li hanno attesi fuori con i coltelli. Questi quindicenni non sono figli di quelli al 41bis, sono i nostri figli. È questo che non riusciamo a mandar giù. Allora è facile fare la battuta ‘alla Affinati’ che parla contro qualsiasi legge proposta ora dalla destra. Facilissimo. Mi dica invece che cosa vuole fare di Trastevere, piuttosto. Mi dica se alle tre di notte è possibile assistere ad un tentato omicidio in pieno centro, un giorno sì e l’altro pure. Hanno massacrato un signore che dormiva sulla scalinata di piazza Trilussa, solo quattro giorni fa”.
Professore, ritiene che ci sia un’emergenza e che si sia giunti a un punto limite?
“C’è un’evidente emergenza delle baby gang: è la violenza. Rileggere Pasolini, che aveva capito. Ce l’ho con gli intellettuali, perché hanno più responsabilità degli altri, perché dicono parole che sono pietre. Dobbiamo stare molto attenti e non scegliere le strade facili. Di banale contrapposizione. E che per far capire che siamo di sinistra basti dire il contrario di ciò che dice Giorgia Meloni. Il problema non si risolve così. Mi dispiace che intellettuali, scrittori illustri, non ci arrivino, perché significa esser complici di questa realtà. E se non la indichiamo con coraggio e non diciamo che tutto ciò non è tollerabile, che non è tollerabile che un ragazzo o una ragazza tornino a 15 anni a casa alle 7 del mattino. C’è qualcosa che non funziona nell’educazione, nelle famiglie. Ed è chiaro che poi questo si riverbera anche nella scuola. Io che giro l’Italia, ora sono ad Anghiari, ho appena finito di sentire le lamentele di un insegnante, e siamo ad Anghiari che è un borgo pacifico. Non si vuole vedere il trave”.
Lei cosa vedrebbe?
“Vorrei vedere che gli intellettuali italiani trovassero il coraggio di dire delle cose controcorrente, affermare che la droga e l’abuso di alcol non possono essere tollerabili. E questo non può essere un pensiero di destra, perché se questo è un pensiero di destra allora la sinistra è morta e la destra vince, stravincerà sempre”.
Una soluzione concreta per impedire questo stato di cose?
“Lo Stato italiano non può consentire che ci sia una terra di nessuno dove chiunque può commettere qualsiasi reato e noi a far solo da guardiani di quel recinto. Non è vero, come dice qualche intellettuale, che si tratti di pochi casi l’anno, il problema è anche la cultura che vi soggiace. Questo è il nesso che non si vuole capire, perché non conviene. Poi devi fare i conti con te stesso, con quel che abbiamo fatto in tutti questi decenni: cioè niente, non ci siamo occupati di giovani. Inutile che Lorenzoni ci dica ‘la cura dei ragazzi’, dov’è la cura dei ragazzi? Mi spieghi, quale cura? Non c’è cura dei ragazzi. Non è ‘I care’ di don Milani, che quando lo scrisse spiegò che ‘I care’, erano gli anni ’50 ’60, è il contrario del ‘me ne frego’ fascista. Adesso il me ne frego fascista non riguarda solo il fascismo, noi stessi ce ne fregiamo. Questo è il vero problema. Perché se non si interviene dalla parte di quei due genitori, suoi colleghi, e li aiutiamo non a fare le esequie del figlio, noi non ci possiamo limitare a dire ‘ragazzi non bevete e fate i bravi’, questo lo dicevano i nostri nonni. Non possiamo essere così arresi, è egoismo. È il me ne frego”.
“Prendersi cura” significa fare cosa?
"Occuparsene. Occuparsi di una buona scuola, tornare a fare i genitori e dire che a tredici anni non puoi fare sesso, droga e rock’n roll, perché 13 anni non sono 19. Si devono ripristinare le età evolutive. I bambini devono tornare a fare i bambini e non devono essere consumatori di tecnologie, i preadolescenti tornino a fare il loro mestiere e non facciano i giovani adulti e i giovani adulti devono fare i cacciatori di orizzonti. Cercare i loro sogni e non buttar via se stessi”.