AGI – Ernesto, il senzatetto con un polmone distrutto dal Covid adottato dagli abitanti di piazza Aspromonte, a Milano, ha lasciato per sempre la sua panchina a 66 anni. Sull’albero ‘guardiano’ delle sue notti ha legato un mazzo di fiori rossi Francesca, la donna da cui era partito tutto quando aveva cominciato a osservarlo dalla finestra mentre lavorava in smart working.
“Una presenza impassibile alle intemperie che si è insinuata come un piccolo tarlo nella mia quotidianità protetta” aveva raccontato all’AGI. “A ogni pausa pranzo dal lavoro, avevo l’istinto di aprire le tende, desiderando che non fosse lì per far tacere la mia coscienza. E invece era sempre lì”.
"Aiutatemi a dargli un funerale"
Col tempo, esaurita la prima onda solidale favorita anche dalla vita meno frettolosa del lockdown, era rimasta solo lei ad accudire quell’uomo che ora definisce “un amico” al quale vorrebbe regalare un funerale, col contributo di chi vorrà aiutarla, che diventi “la cerimonia di tutti dimenticati”.
Per quel polmone sgonfio gli avevano dato una pensione di invalidità da 297 euro e con quella è campato, sempre sulla panchina in una delle piazze più belle di questa zona di Milano, un armonioso cerchio alberato da cui nessuno riusciva a strapparlo tranne la sua amica nelle notti ghiacciate o quando non si sentiva bene. Solo allora si convinceva a spendere i suoi spiccioli per qualche ora al caldo, in albergo.
“Gli ho regalato tanti di quei cellulari che poi regolarmente gli rubavano, così riusciva a chiamarmi in ufficio almeno una volta al giorno. Anche ieri, ma non sono riuscita a rispondergli e mi resta questo cruccio. Negli ultimi tempi stava spesso male e aveva iniziato a girare con un rosario al collo. Forse sapeva di essere vicino a un passaggio”.
"La lezione del mio amico 'animale strano'"
Ernesto, ex custode, era “un animale strano”. Francesca racconta con emozione come quell’incontro abbia cambiato per sempre il suo sguardo dalla finestra: “Ci sono altre persone che passano dalla piazza e sono in condizioni difficili ma io ho scelto lui tra tanti. Ha avuto una vita difficile, aveva una gamba sulla quale si posavano le mosche tanto era consumata dalla malattia, ma sorrideva. Non dava mai segni di insofferenza. Mi ripeteva ‘Franci, ti voglio bene’. La sua lezione di vita è stata che si può stare bene con niente”.
Stamattina i medici hanno cercato di rianimarlo sulla panchina. “Solo allora qualcuno si è avvicinato, attratto dalle divise accese dei soccorritori. I suoi amici clochard mi hanno consegnato una foto che lo ritrae da mettere sull’albero, accanto ai fiori". Il punto dove resterà traccia della sua delicata ma tenace radice.