AGI - Strangolata dallo zio Danish Hasnain, dopo essere stata tenuta ferma dai due cugini, Ikram Ijaz e Nomanhulaq Nomanhulaq. Il corpo sarebbe poi stato fatto a pezzi, infilato in sacco e gettato nel Po, con l'aiuto di un uomo non identificato. La madre, Nazia Shaheen, sarebbe stata allontanata in lacrime dal marito, Shabbar Abbas.
Successivamente, il cugino e il padre sarebbero tornati indietro, mentre il personaggio ancora senza volto, assieme allo zio e all'altro cugino Nomanhulaq, si sarebbero occupati di trasportare il corpo verso il fiume, in sella a una bicicletta. è quanto avrebbe confidato a un compagno di cella nel carcere di Reggio Emilia, in due distinte occasioni, uno dei due cugini della 18enne pakistana scomparsa, Ikram Ijaz, il primo ad essere catturato il 31 maggio 2021 in Francia.
Le confidenze, raccoltre dalla Polizia Penitenziaria e successivamente oggetto di indagine da parte dei Carabinieri, che le hanno tradotte in due informative, non avrebbero trovato al momento elementi di conferma, così come non hanno dato esito le ricerche nel fiume.
L'intercettazione che potrebbe incastrare il padre di Saman
Intanto nel processo che prenderà il via il prossimo 10 febbraio a Reggio Emilia, è entrata agli atti un' intercettazione che chiama direttamente in causa il padre di Saman, Shabbar. "Io sono già morto, l'ho uccisa io, io l'ho uccisa per la mia dignità e il mio onore", avrebbe confidato il padre di Saman al telefono ad un parente in Italia un mese dopo la scomparsa della figlia, nel giugno 2021.
Dichiarazioni sulle quali in aula si preannuncia già battaglia. "Chi ha dato queste informative alla stampa si è assunto una belle responsabilità - dichiara all'AGI l'avvocato Simone Servillo, legale dei genitori di Saman - non dobbiamo dimenticare che il processo sarà in Corte d'Assise, con giudici a composizione mista togata e popolare: con una campagna di stampa così massiva, mi chiedo con quale serenità i giudici potranno lavorare".
Le proteste della difesa
In quanto all'intercettazione in se stessa, "si tratta di vecchi stralci di intercettazioni da cui non si può ricavare assolutamente nulla - prosegue Servillo - qualcuno parla addirittura di confessione, ma è ridicolo. Innanzitutto, si tratta di virgolettati riportati nell'ambito di una informativa, che non è esattamente un atto imparziale; inoltre riporterebbero traduzioni di intercettazioni avvenute in un dialetto pakistano, per cui diventa fondamentale il contesto. Le intercettazioni vanno maneggiate con estrema cura - sottolinea il legale - ce lo insegnano bene i nostri processi: da interpetazioni sbagliate di intercettazioni sono nati dei disastri processuali totali. Vanno lette insieme a una miriade di altri atti, che sono di segno diametralmente opposto".
"Quando i processi cominciano a farsi sulla base di dichiarazioni rese a mesi di distanza da un detenuto o l'altro, tutto assume il sapore di una drammatica farsa", aggiunge poi il legale. Il processo vede imputati i familiari di Saman, sull'ipotesi che la 18enne sia stata uccisa per il rifiuto di un matrimonio combinato in patria: oltre ai genitori, il 46enne Shabbar Abbas e la 47enne Nazia Shaheen, entrambi ancora latitanti in Pakistan, agli altri tre parenti arrestati nei mesi scorsi all'estero, in Francia e in Spagna: lo zio 34enne Danish Hasnain, ritenuto l'autore materiale dell'omicidio, e i due cugini Ikram Ijaz (28enne) e Nomanhulaq Nomanhulaq (35 anni).
"Spero che i miei assistiti prendano contatti con me - conclude l'avvocato Servillo - Ora il fatto stesso che a distanza ormai di più di un anno non lo abbiano ancora fatto, è una riprova che i coniugi Abbas non hanno effettiva conoscenza del processo. Quindi questo processo, nei loro confronti, non si dovrebbe neanche celebrare, a mio modo di vedere, perchè è assodato che costoro non sanno dell'esistenza del processo".