AGI – “ Il triage di guerra dei contadini”. Alberto Lasagna, direttore di Confagricoltura Pavia, rappresentante del territorio che lui indica come “l’epicentro della siccità” in Italia, utilizza un’espressione che, durante le fasi più atroci della pandemia, indicava la scelta dei medici su chi curare e chi no, in base all’età o alle fragilità, quando gli ospedali straripavano di malati.
“Gli agricoltori della nostra zona devono scegliere quale campo salvare e quale no, non avendo quantità di acqua sufficiente per tutti. Una scelta dolorosa sotto ogni profilo". Si privilegia allora il pezzo di terra messo meno peggio, il riso che ancora ha un anelito di vita, il mais non ancora del tutto piegato dall’arsura.
L'illusione del temporale
“Anche nelle province di Novara e Vercelli la situazione è drammatica ma qui la sensazione è che lo sia ancora di più” spiega all’AGI Lasagna che stamattina ha verificato di persona quanto siano illusorie le speranze che un temporale giri il corso degli eventi.
“Stamattina sembrava una situazione di grazia dopo la pioggia di ieri, era dai primi giorni dell’anno che non si vedeva acqua nei canali. Invece, dopo poco, la portata è calata e gli effetti dello scroscio di pioggia si sono esauriti in un attimo sotto i nostri occhi”.
“Ci vorrebbe un mese di temporali - ragiona -. Uno ogni tanto da’ solo un respiro momentaneo. Il lago Maggiore ha un’autonomia di poco superiore a quello di Como ma può durare una decina di giorni”. E dopo? “Dopo perdiamo almeno il 50% dei raccolti, una situazione che in letteratura, da queste parti, non si è mai vista. L’epicentro della siccità è tra Pavia e Milano sud e le conseguenze travolgono anche un venti per cento, almeno, di contadini che non saranno in grado di rimettersi in piedi”.
Il mais trinciato 'da piccolo'
C’è una tempistica che ritiene significativa: “Hanno già trinciato il mais questa settimana. E’ alto appena un metro e venti centimetri. Di solito questa è un'operazione che si fa ad agosto quando raggiunge i due-tre metri”.
Lasagna si spinge ad affermare che “è una situazione peggiore di un terremoto o di un’alluvione che sono eventi che hanno un inizio e una fine. Qui la fine non si vede, le ripercussioni su tutta la filiera le avremo negli anni. Bisogna considerare l’alluvione come una calamità, come il Covid e la guerra”.
Il 10 febbraio, dice, "avevamo già lanciato i primi campanelli d'allarme. La risposta era stata solo un grande silenzio di rispetto e comprensione".
La testimonianza
“Dopo 35 anni che li accudivo e curavo, ho dovuto far ‘morire’ una parte dei mie campi di mais e di riso”. Luigi Ferraris, agricoltore di Mortara, racconta all’AGI la prima e dolorosa volta in cui ha dovuto fare quello che chiama “un sacrificio” che gli è costato "un enorme sconforto". Troppa poca acqua per tutti i suoi 120 ettari di terreno e, gradualmente, prima la decisione di abbandonare il mais senza forze e poi le coltivazioni di riso. Che significa “niente acqua, né concimi, né diserbanti”, per adesso per il 25% dei suoi possedimenti ma la percentuale potrebbe aumentare.
Trentacinque anni fa era cominciata la sua avventura, si era trasferito dal Veneto per mettere radici solide, nonostante non provenisse da una dinastia di agricoltori, come spesso accade, su quella terra allora zeppa d’acqua, una manna per far crescere il riso. “Nell’estate del 2003 soffrimmo una siccità simile a questa ma allora c’erano le montagne innevate e i bacini pieni d’acqua. Ora non c’è nulla di tutto ciò”. Mentre parliamo, commenta sconsolato l’evoluzione del tempo di questo pomeriggio: “La tempesta se n’è già andata. Poche gocce”. La siccità “è stata la mazzata finale: prima l’aumento dei prezzi, il concime su del 150%, il gasolio agricolo del 60%, l’energia elettrica non ne parliamo”. L’azienda di Ferraris produce e vende anche una parte del riso. “Ho fatto tanti investimenti negli ultimi anni, che significa chiedere finanziamenti. Si può capire cosa significa ora, con questa crisi. Fino al settembre del 2023 non avremo un raccolto ‘normale’ e chissà se ne avremo ancora”.