AGI - “Nella mia mentalità provinciale mi ero immaginato che in Vaticano ci fossero tutti personaggi innanzi ai quali si dovesse tremare verga a verga, invece non ho visto che dei fratelli, gentili e premurosi”: la scrittura è tremante ma chiara.
Inchiostro nero su carta giallognola. La penna sbanda, il tratto incerto impresso sulla lettera - datata Roma, 25 giugno 1940 - testimonia speranza e disperazione.
La missiva è parte dell’imponente archivio che racchiude le richieste di aiuto inviate da ebrei, battezzati e non, a Papa Pio XII da tutta Europa, dopo l’inizio delle persecuzioni nazi-fasciste. Per la prima volta questa miniera di storie – per volere di Papa Francesco – è stata digitalizzata ed è accessibile a tutti.
Visti o passaporti per espatriare, ricongiungimenti familiari, liberazione dal carcere, trasferimenti da un campo di concentramento all’altro: sono alcune delle istanze alcune andate a buon fine, altre non accolte e la maggior parte rimaste con esito sconosciuto.
La serie archivistica – chiamata “Ebrei” – conta 170 volumi equivalenti a quasi 40mila file (ora è disponibile il 70% del materiale complessivo).
Durante il pontificato di Papa Pio XII l’allora Congregatio pro negotiis ecclesiasticis extraordinariis - oggi Sezione per i Rapporti con gli Stati e le organizzazioni internazionali della Segreteria di Stato, equivalente ad un ministero degli Affari esteri - incaricò un diplomatico (monsignor Angelo Dell’Acqua) di occuparsi di queste richieste con l’obiettivo di fornire ogni aiuto possibile.
Fra gli anni 2005-2010, poi, i fascicoli della serie "Ebrei" furono rilegati in volumi con coperta in cartoncino semirigido verde-acqua. Ad ogni volume furono aggiunte due carte di guardia bianche (una anteriore ed una posteriore), più un foglio iniziale contenente gli estremi cronologici ed un elenco sommario dei nomi rilevati sulle intestazioni delle pratiche all’interno.
Vennero inserite nel volume anche le camicie originali ‒ asportandone il foglio posteriore ‒ sia dei faldoni sia dei fascicoli. La maggior parte dei documenti di dimensioni ridotte vennero incollati su un foglio di misure standard.
Nella seconda decade del Duemila è iniziata la digitalizzazione. Così cliccando su un semplice numero – le posizioni che compongono la serie sono 170 - esplode un universo di vita.
Irene, Ernst e moglie, Salvatore, Teodoro e signora, Giulio, Noemi, Fracesco: in molti scrivevano a mano, altri si affidavano a un intermediario (in questo caso il testo è battuto con la macchina da scrivere). Ma tutti si rivolgevano a monsignori, eminenze ed ecclesiastici. Catene di conoscenze con l’obiettivo di raggiungere gli alti piani del Vaticano.
E così c’è chi chiede notizie su una persona scomparsa, chi sostegno economico e altri forniture di cibo o indumenti.
Non mancano i casi complicati. “Eccellenza Reverendissima” è l’inizio di una lettera in archivio “chiedo di avere la compiacenza di far esaminare dall’ufficio competente presso codesta segreteria di Stato, l’appartenenza o meno alla razza ariana di un distinto signore abitante in questa città il quale avrebbe intenzione di sposare una cattolica ariana”.
Il personaggio in questione di cui si omette il nome “nacque al Cairo d’Egitto nel 1903 da padre israelita apolide, oriundo polacco protetto francese nato a Costantinopoli nell’aprile 1857 e da madre cattolica italiana nata a Ghedi (Brescia)".
Spulciando nell’archivio spunta anche la storia di Adler - ebreo di Milano e originario dell’Austria che “desidera di essere dichiarato non appartenente alla razza ebraica nonostante non sia figlio di genitori non ariani”. Adler rimase ebreo.
Poi ci sono vicende familiari. Come il padre che scrive alla “reverendissima segreteria di Stato della Città del Vaticano” preoccupato per il fatto che “una mia giovanissima figliuola (noi siamo ariani) è richiesta in sposa da un giovane ebreo”.
Non mancano, infine, le intercessioni ‘elevate’ scritte in latino. Storie vestite con nome e cognome. E richieste precise e ben indirizzate. Nella speranza di sopravvivere alle persecuzioni.