AGI - Abbattere i muri e correre, farsi spingere dal vento sul rosso morbido di un'elegante pista di atletica. La prima in un carcere italiano, ed è, non per caso, a Bollate, uno dei pochi istituti di pena ‘costituzionali’ che prova a riconsegnare davvero al mondo persone nuove.
Per disegnare questa linea sinuosa, che rimanda agli ultimi successi più folgoranti dello sport olimpico italiano, il cemento armato è stato proprio buttato giù. “L’idea, promossa dal Politecnico di Milano, è di rivedere gli spazi per i detenuti - spiega all’AGI Francesco Maisto, il garante per le persone ristrette del Comune -. Intervenire sui cosiddetti ‘cortili di passeggio’, vaste aree limitate e caldissime, fatte con la pece. E fare dei buchi nei muri dove, eccola, spunta la pista in tutta la sua bellezza”.
Andare ben oltre la 'solita' palestra
C’è voluto il fiore dell’ingegno del Politecnico. Rapressentato dall'architetto Andrea Di Franco, docente dell'ateneo, e dal suo gruppo di studio. “Al Politecnico facciamo ricerche sull’architettura con finalità sociali che incida in ambiti abitativi con particolari problematiche. Così come sono, le carceri non sono adatte per consentire di svolgere delle attività che permettano una crecita personale, della comunità formata da chi ci sta e con la società esterna. La maggior parte dei reclusi ha problemi di salute, che siano fisici o mentali”.
E allora si è pensato di andare oltre la classica palestra, che si trova più o meno in tutti i luoghi di pena. Ci voleva “inventiva”, dice Di Franco che su questo orizzonte c’è rimasto per un paio di anni, prima che spuntassero la pista e altri paesaggi di luce a Bollate. "Volevamo fare spazio ad attività di gruppo e aerobiche che incidessero sulla salute delle persone facendo breccia nel cemento armato. La pista di atletica è la più suggestiva: evoca la libertà di correre”.
Ci hanno lavorato anche i detenuti
Ci sono anche altri nuovi territori, per giocare a basket e a pallavolo e pure una palestra ‘diffusa’, cioé ritagliata in vari punti del carcere, che invogli a considerare la cura del corpo in ogni momento del proprio passaggio ‘dentro’. Per demolire e costruire c’è voluto un impegno collettivo: “Abbiamo dialogato con una commissione di esperti di sport, con l’amministrazione regionale e locale per conciliare l’idea con la sicurezza del carcere. E i soldi sono arrivati, oltre che dall'ambito penitenziario, dal Politecnico attraverso il premio ‘Polisocial’ che abbiamo vinto con questo progetto nel 2019, e dalle imprese coinvolte che si occupano di spazi e materiali sportivi”.
A costruire la loro pista ci si sono messi anche i carcerati. E così hanno abbassato di un poco il loro muro. Correndo, va tutto più veloce.