AGI - Sono 33 mila i giovani ricercatori under 35 che hanno maturato nel corso della loro carriera almeno un’esperienza all’estero, di questi quasi il 20% lascia il nostro Paese per intraprendere un percorso accademico al di fuori dell’Italia, ma chi rientra ha un livello mediamente più alto di chi sceglie di lavorare stabilmente all’estero.
In sintesi la “fuga di cervelli” è una questione di opportunità e non di bravura del singolo ricercatore. All'estero, quindi, esistono sicuramente più chance per i giovani accademici Made in Italy ma a restare in Italia non sono gli studiosi che valgono meno. È questo quello che emerge da uno studio Elsevier, uno dei più importanti editori scientifici del mondo con oltre 3000 pubblicazioni in ogni ambito scientifico, presentato in Senato durante l'evento “Giovani, ricerca e mobilità: lo studio di Elsevier. Fuga dei cervelli, circolo virtuoso di scambio internazionale o deficit strutturale del sistema italiano?”.
La ricerca
In Italia ci sono circa 33mila giovani ricercatori under 35 con esperienza all’estero che hanno iniziato a pubblicare negli ultimi 15 anni e hanno almeno una pubblicazione indicizzata negli ultimi 5 anni. Interessante notare che un 2% del campione esaminato ha cognome straniero e questo potrebbe indicare che anche nel mondo della ricerca hanno iniziato ad affacciarsi gli italiani di seconda generazione. Di questi 33 mila studiosi, sono più di 5.000 quelli che abbandonano l’Italia per continuare il loro percorso accademico all’estero, iniziando a pubblicare stabilmente fuori dal nostro Paese.
“Il risultato che emerge da questa analisi si può riassumere nella considerazione che siamo un Paese virtuoso, estremamente performante a livello scientifico, tra i primi in Europa e, certamente, nella top ten al mondo, con una forte propensione alla mobilità e al rientro di questi cervelli che si muovono internazionalmente - commenta Claudio Colaiacomo, vicepresidente Global Academic Relations di Elsevier - nella nostra analisi abbiamo considerato i ricercatori giovani, quelli che più o meno hanno 35 anni di età. E poi abbiamo analizzato la loro mobilità, non solo verso l'estero, quindi la mobilità permanente, ma anche la mobilità transitoria, ovvero chi è uscito per qualche tempo ed è poi rientrato in Italia".
I Paesi con cui si collabora di più sono gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, segue a distanza al terzo posto la Francia. Ma proseguire la propria carriera accademica all’estero non ha nulla a che vedere né con la qualità del ricercatore, che anzi appare più alta fra chi resta in Italia ma collabora con l’estero, né con il numero di pubblicazioni, chi va fuori mediamente pubblica di meno rispetto ai colleghi che restano in patria avendo però maturato un’esperienza internazionale.
La questione è relativa alle opportunità e questo è evidente anche osservando la “circolazione dei cervelli” in Italia. Quello che emerge analizzando i ricercatori con esperienza internazionale, sempre secondo l’analisi Elsevier, è che se è vero che i giovani studiosi del Nord lasciano l’Italia per l’estero (23%), quelli del Centro e soprattutto del Sud Italia molto spesso lasciano il loro polo universitario per uno che si trova al Nord, dove generalmente sono situati i centri di eccellenza e si hanno maggiori opportunità lavorative. Il 10,5% degli accademici under 35 del Centro e l’8% di quelli del Sud si spostano in Università del Nord Italia.
E anche in questo caso a orientare le scelte è il ventaglio di opportunità che un determinato ateneo può offrire e non la qualità del ricercatore: quanti al Sud hanno maturato un’esperienza internazionale tendono a pubblicare di più, con un valore qualitativo pari a quello del resto d’Italia.
La composizione del segmento di studiosi presi in considerazione,poi, fornisce importanti informazioni sulle trasformazioni che il settore della ricerca sta mettendo in atto. Innanzitutto, quello che emerge è che fra i giovani accademici con esperienza internazionale c’è una tendenza algender balance, con un 45% di donne e un 55% di uomini in termini di parità di genere.
Tra i ricercatori under 35 italiani, in particolare, il gender balance è migliore rispetto al resto della ricerca in generale e anche della media europea. Nonostante questo, le discipline STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica) restano appannaggio dei ricercatori uomini, mentre le ricercatrici sono avanti rispetto ai colleghi uomini nel campo della medicina.
Infine, un’altra peculiarità relativa al genere: gli uomini pubblicano più delle donne, ma questo non ha a che vedere con la qualità delle studiose e degli studiosi, che è pressoché simile, piuttosto con la tendenza dei ricercatori uomini a frazionare il lavoro di ricerca, pubblicando non necessariamente al termine dell’intera speculazione, ma anche risultati intermedi.