AGI – “Il giorno dopo l’omicidio, suonai alla porta di Orazio Cicala al mattino molto presto. Venne ad aprirmi in vestaglia. ‘È tutto a posto’ mi disse. ‘Ma che cazzo avete combinato?’ lo aggredii. Poi mi chiese di aiutarlo a far scomparire i bossoli che erano stati usati e così feci. Li seminai in un prato lì vicino”.
Seduto nello studio dei suoi avvocati, Ivano Savioni, camicia bianca e battuta mordace sempre in canna, ha “voglia di togliersi dei sassolini dalle scarpe” su uno dei casi più di cronaca nera più folgoranti degli ultimi anni, un mix di glamour, passioni e soldi di tale potenza da avere ispirato il regista Ridley Scott in ‘House of Gucci’.
È il 27 marzo 1995, Maurizio Gucci, erede della dinastia di stilisti, elegante, 45 anni, baciato da ogni fortuna, entra nell’atrio del palazzo di via Palestro, dove ci sono i suoi uffici. Un sicario esce dall’ombra e lo uccide con tre colpi di pistola, due alla schiena e uno alla tempia. Sposato con Patrizia Reggiani, dagli incantevoli occhi viola alla Liz Taylor, da due anni aveva una relazione con Paola Franchi per la quale la moglie si struggeva e soffiava odio.
"La Pina e l''uomo giusto'"
Savioni, libero dal 2010 dopo la condanna a 20 anni e sei mesi di carcere, riavvolge il suo nastro sotto lo sguardo dei legali Mauro De Martino e Ombretta Fapulli: “ Non ero il portinaio, com’è sempre stato scritto, del piccolo albergo di via Lulli. Quella era la pensione della zia e ogni tanto alloggiavo lì. In realtà mi occupavo del commercio di vasi di porcellana assieme a un amico di Brescia. Un giorno venne a trovarmi la mia amica napoletana Pina Auriemma e con poche parole mi spiegò che una signora della Milano 'bene-bene' voleva far sopprimere il marito e noi avremmo potuto truffarla facendole credere che l’avremmo accontentata e intascando i soldi. Sinceramente cominciai a pensare che se fossimo riusciti a portarle via un po’ di soldi non sarebbe stato male visto che era una miliardaria. Per me sarebbe stato un peccato ingannare un pensionato, ma una come lei…”.
Savioni individua l’uomo giusto “per creare l’atmosfera della truffa”. Orazio Cicala: “Non era mai stato in carcere, aveva le conoscenze giuste e gestiva un ristorante ad Arcore. Era una brava persona, eravamo amici ed era anche siciliano, il che non guastava. Incontrai più volte la Pina, che non era una maga come si è sempre detto, e la Reggiani. Mi diede l’impressione di una donna infelice e sola, era preoccupata che non si facesse in tempo a far fuori il marito che era in partenza per un viaggio in giro per il mondo che poi si è fatto al cimitero”.
Secondo la verità giudiziaria, Savioni sapeva invece che il progetto era quello di uccidere e avrebbe trattato con Reggiani un compenso di 600 milioni di lire. “Sono state dette tante sciocchezze. Seppi dell’omicidio per caso, ero in auto verso Brescia e alla radio diedero la notizia che Gucci era stato ammazzato. Sobbalzai. Qualcuno lo aveva fatto a mia insaputa”.
"Spero che l'informatore della Criminalpol sia morto, se no..."
Di quelli che facevano parte della bizzarra compagnia di cui faceva parte anche Benedetto Ceraulo, l’esecutore materiale, Savioni considera “uno solo il vero ingannatore”. Gabriele Carpanese, l’informatore della Criminalpol che determinò la svolta delle indagini. “Mi aveva chiesto in prestito la macchina per un lavoro per la pescheria, invece poi la macchina mi è tornata piena di microspie. Spero che sia morto ma se è vivo e dovessi incontrarlo…beh: non sono così stupido da ucciderlo - si fa una risata - perché tornerei in carcere per il resto dei miei giorni ma le gambe gliele spaccherei volentieri, sette mesi di galera per lui me li faccio. La maga Pina? Anche lei non si è comportata bene. E poi non era una maga, al massimo avrà accompagnato la Reggiani dal cartomante”.
La laurea conquistata nel bagno del carcere
I toni si fanno quasi dolci quando Savioni parla del carcere. “Ne ho cambiati tre, in quello di Busto Arsizio ho dato la maggior parte degli esami per la laurea in Economia Aziendale. Era un carcere bruttissimo. Studiavo sempre in bagno, dopo cena. Il primo lavoro che ho fatto quando sono uscito era l’agente assicurativo sotto falso nome. Quando fecero una ricerca su di me al computer e venne fuori il mio passato decisero di farmi lavorare alle pratiche ma senza firma. Mi viene da ridere quando si parla di reinserimento dei detenuti. Tanti compagni di cella mi sono rimasti nel cuore. Momenti difficili? Certo, fuori è meglio ma non ho mai pensato a soluzioni estreme, anzi ho scoperto di avere una forza interiore che non pensavo”.
I rimpianti, i salumi e il sogno
I rimpianti, tanti. “Se avessi detto di no alla Pina…ma chi andava a immaginare. Ero abbagliato dalla Milano da bere, volevo solo fare dei soldi… Mi girano le balle perché ho perso tanto. A cominciare da mia figlia che aveva otto anno quando entrai in carcere e l’ho rivista maggiorenne. Non ho mai permesso che venisse a trovarmi in quel posto. Mio figlio ne aveva 15 e lui veniva, è andata meglio. Mia moglie la lasciai dopo la condanna, non potevo mantenere una relazione sentimentale. Un uomo vero fa come ho fatto io: taglia. Poi la donna si stanca di venirti a trovare, portarti la camicia stirata e tre cotolette…Poi è morta di tumore, avrei voluto vederla ma non ci sono riuscita. Il mio cruccio è che si sia ammalata anche per quello che è successo”. Ivano Savioni, per i media ‘Sauvignon’ (“Ma io non ho mai capito perché, certo è un bel vino…”), autore di un libro sulla sua storia uscito nel dicembre scorso, vive comprando e vendendo salumi assieme a un amico ed ex compagno di carcere.
“I migliori, li prendiamo a Piacenza, ma ora è un periodo difficile. Ho ancora dei sogni. Il più grande è andare a vivere in campagna, coi cavalli che amo”.