AGI - “Pio La Torre è una di quelle figure che per davvero ha disarticolato Cosa Nostra con una legge fondamentale che è servita per battere e controbattere le mafie”. Autore televisivo, giornalista, scrittore, regista e sceneggiatore, Claudio Camarca è anche il biografo ufficiale di Pio Latorre, il dirigente del Partico comunista che il 30 aprile di quarant’anni fa, il 1982, venne ucciso in un agguato dalla mafia a Palermo.
Quattro mesi più tardi toccò al generale dei Carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa e alla moglie Emanuela Setti Carrano in una delle stagioni di sangue più cruente. Un omicidio continuo, un regolamento di conti al giorno con quanti le si opponevano, denunciandone connivenze e misfatti. Un libro importante, “Pio La Torre, una storia italiana”, scritto con il giornalista Giuseppe Bascietto, edito da Aliberti nel 2008, prima e unica biografia esistente sul deputato siciliano dell’allora Pci. L’autore è anche ideatore e curatore del poderoso Dizionario delle Mafie uscito nel 2013 da Castelvecchi.
Camarca, cosa ricorda di quel giorno?
"Nell’82 avevo 22 anni. La cosa grave in assoluto fu il fatto che fu l’unico deputato della Repubblica italiana ad essere ucciso dalla mafia. Fu la cosa che colpì tutti e più di tutto. È la cosa che non t’aspetti che un conglomerato mafiosi alzi il livello dello scontro fino a quel punto. Ma era solo l’inizio, poi ci sono stati gli omicidi di Falcone e Borsellino. Prima la mafia non aveva mai osato, rischiando anche delle ripercussioni interne perché fu colpito lo Stato di diritto, in tutti i sensi. E al livello massimo della sua rappresentanza. Fu un atto criminale violentissimo che fece capire che si trattava di una guerra tra Stato e Antistato e che nel momento in cui la mafia si decideva a compiere quell’atto significava che o lo Stato era troppo debole o che qualcuno aveva dato il permesso di farlo".
Cosa è emerso dalla sua biografia di rilevante?
"Studiando la figura di Pio La Torre la cosa che saltava agli occhi è che lui decise di rientrare in Sicilia nonostante il partito e lo stesso Berlinguer tentassero di dissuaderlo. Lui decise di tornare in Sicilia ben conoscendo il rischio a cui sarebbe andato incontro. Lui era abbastanza certo che ci sarebbero state delle ritorsioni nei suoi confronti. Forse non era così certo che sarebbe stato ammazzato, ma lui in sostanza sapeva e non volle che la moglie Giuseppina lo seguisse in Sicilia".
Cos’è che l’ha appassionata dell’uomo La Torre e della sua vicenda?
"Era una figura straordinaria, il politico che tutti noi avremmo voluto. Uno che prendeva l’autobus. Uno a cui fu chiesto di diventare deputato per tutelarsi, difendersi da minacce e aggressioni, ma lui in verità non voleva. Era uno nato con le marce dei lavoratori, arrestato e portato in carcere da ragazzino, che organizzava le marce dei contadini contro i feudatari siciliani che erano difesi dalle mafie, ben radicato sul territorio. Era il politico che faceva politica per scelta morale.
Il suo omicidio non è stato il primo, ma cos’è cambiato con la morte di Pio La Torre?
"Innanzitutto che abbiamo avuto la legge che porta il suo nome accanto a quello di Virginio Rognoni, deputato democristiano. Una legge che ha permesso di disarticolare la mafia siciliana e poi la camorra. La sua intuizione ha fatto sì che poi venisse istruito il maxiprocesso dell’83, quello voluto da Falcone e Borsellino. L’introduzione del 416 bis sull’associazione mafiosa si deve tutto alla lagge La Torre-Rognoni. Lui è una figura nodale, importantissima per questo Paese".
Com’era la mafia allora e cos’è diventata adesso?
"La mafia è cambiata da allora. La sua disarticolazione rispetto a quel che era prima lo si deve moltissimo alla legge di Pio La Torre. Andrebbe studiato nelle scuole come il suo profilo di politico originale, del popolo e non populista. Non girava in auto blu. Credo che non ci sarebbero stati i Cinque Stelle se vi fossero stati più politici come Pio La Torre. Lui ha gettato un seme che non è stato raccolto. Ad ogni modo, la mafia si è molto impoverita negli anni, da egemone è diventata quasi “stracciona”, per molti versi: tutte le rotte del narcotraffico sono gestite dalla ‘ndrangheta, sia in Italia, sia in Spagna sia in Europa. La mafia ha fatto una guerra allo Stato micidiale, che ha ucciso La Torre, Falcone, Borsellino, ha prodotto gli attentati a Roma, Firenze con un livello di scontro inaudito. Poi la risposta dello Stato è stata altrettanto potente, ciò che ha sicuramente impoverito la mafia, tant’è che oggi le storiche e grandi famiglie mafiose non esistono più. Gestiscono certo miliardi, territori, ma non con quella potenza e profondità che avevano e dovendo anche accettare di perdere dei mercati di riferimento. Oggi il risultato è che in Sicilia c’è una parcellizzazione del potere mafioso, gestito in sostanza da uno solo di loro: Matteo Messina Denaro. Che però essendo latitante a vita ha sicuramente meno potere sul territorio".