AGI - Non di fronte al tribunale della giustizia ma dinnanzi a un giudice più severo che, nonostante l'atrocità che si è appena compiuta, ha una voce implacabile. “Cancellare le prove ma soprattutto prendere le distanze dall’orrore di cui si è stati artefici: se non c’è più il cadavere non c’è più l’omicidio e questo vale prima di tutto di fronte a se stessi e poi anche di rispetto agli altri. Del resto, si prova pietà di un corpo morto, non di un braccio o di un altro pezzo di quel corpo”.
Donato Carrisi, autore di thriller da milioni di copie e criminologo, spiega all’AGI da cosa possa avere origine la pulsione di chi uccide a sbarazzarsi del cadavere della vittima facendolo a pezzi. Così è stato per Davide Fontana, il bancario che ha decomposto il corpo di Carol Maltesi, la sua vicina di casa ed ex fidanzata, i cui resti ha sistemato in un congelatore comprato su Amazon.
Il poeta che mise i resti della la madre in cantina
Risale nel tempo, al 2005, ma la sua memoria è rimasta vivida nelle cronache milanesi, il caso di Boris Zubine che tranciò in sette pezzi il corpo della madre, la cantante lirica Maria Arena, li avvolse nei sacchetti di plastica e li mise in cantina. Il pm che seguì il caso confidò che non gli era mai capitato un delitto così truce e nemmeno una personalità tanto complessa. Laureato in astronomia, pianista di professione, giocatore di scacchi e poeta, disse di avere ucciso l’anziana perché “aveva un rapporto morboso nei miei confronti e non sopportava Marinella, di cui ero innamorato. La chiamava ‘quella là’”. Marinella era la sua convivente, poi arrestata con l’accusa di essere stata complice del delitto per cui Zubine, ora detenuto a Opera dove ogni anno scrive bellissimi versi per il calendario del carcere, venne condannato all’ergastolo.
Le teste trovate dai cercatori di funghi
Dello stesso anno un’altra storia che ha segnato la cronaca nera, quella di Guglielmo Gatti, l’uomo che sta scontando il carcere a vita perché ritenuto colpevole di avere ucciso e fatto a pezzi nell’estate del 2005, a Brescia, gli zii Aldo Donegani e Luisa De Leo. I resti delle vittime, decapitate e smembrate a colpi di cesoia, riemersero in un dirupo dentro ai sacchi dell’immondizia e ad alcune confezioni di sedano appena acquistate e gettate per sbaglio insieme con i resti dei cadaveri, mentre lo scontrino era rimasto nella camera da letto di Guglielmo. Le teste dei due anziani vennero ritrovate più tardi da una coppia di cercatori di funghi, in un bosco a Provaglio d’Iseo.
Nicoletta Diotallevi, 59 anni, venne uccisa e fatta a pezzi nell’estate del 2017 dal fratello Maurizio, di poco più grande. Dopo la morte della madre, i due vivevano assieme nell’appartamento ereditato ma spesso litigavano per questioni economiche. “Mi trattava come un ragazzino” ha detto lui, ammettendo il crimine. Fece a pezzi la donna gettando le parti del corpo in due cassonetti: in uno vennero ritrovate le gambe, legate assieme con del nastro adesivo, in un altro venne buttata la testa della vittima, assieme a quello che restava del corpo martoriato.
Il caso dell'armiere di Como
Ancora da chiarire in tutti i suoi aspetti il caso di Shpetim e Teuta Pasho, 54 e 52 anni, marito e moglie di cui non si avevano più notizie dal 2015 fino al ritrovamento dei loro corpi nel dicembre del 2020 vicino al carcere fiorentino di Sollicciano, lungo la superstrada Firenze-Pisa-Livorno, dentro a delle valigie che erano lì probabilmente da anni. Del loro omicidio è accusata Elona Kalesha, 36enne di origine albanese, che li avrebbe eliminati, è l’ipotesi dell’accusa, per impedire che la coppia rivelasse al figlio, il suo fidanzato, che aspettava un bambino da un altro uomo.
A Como ricordano tutti il caso di Alberto Arrighi. Titolare di una nota armeria nel centro della città, uccise il suo socio d’affari nel 2010 a colpi di pistola. Dopo alcune ricerche, il corpo della vittima venne trovato in una zona semiboschiva a Domodossola, in Piemonte. La testa finì nel forno di una pizzeria nel Comasco di proprietà di un parente dell’esperto di armi.
La candeggina sul corpo di Pamela
Pamela Mastropietro è una ragazza di 18 anni bionda e minuta che vive in una comunità per tossicodipendenti. Il 29 gennaio del 2018 decide di allontanarsi portando con sé due valigie, una rossa e una blu. Due giorni dopo, un uomo, camminando in strada, scorge queste due valigie vicino a Macerata, abbandonate in un fossato.
Dentro c’è Pamela fatta a pezzi. A febbraio viene arrestato Innocent Oseghale. Per l’accusa, confermata da una sentenza della Cassazione, è lui ad averla uccisa con una coltellata dopo averla attirata a casa sua per darle una dose di cui era alla ricerca. Il corpo è stato poi smembrato e lavato con la candeggina per eliminare ogni residuo ma il dna del giovane nigeriano è rimasto sulle mani e sotto le unghie della ragazza.
I resti dell'ex compagno di liceo di Berlusconi in valigia
Il corpo mutilato di Adriano Manesco, docente di estetica in pensione e compagno di liceo di Silvio Berlusconi, accoltellato e strangolato nel suo appartamento milanese, venne rinchiuso in una prima valigia, mentre in una seconda furono nascosti i sacchetti contenenti le viscere e altri resti. Poi c’era una terza borsa, quella che conteneva l’attrezzatura utilizzata per la mattanza. Una vicina di casa intorno alle 22 notò i due omicidi su e giù per le scale del palazzo di via Settembrini con delle borse voluminose. I due, condannati all’ergastolo, lo avrebbero ucciso per impadronirsi dei suoi risparmi.
“Se il corpo rimasse intero potrebbe suscitare compassione - ragiona Carrisi - È questo, più che la volontà di far sparire le prove della propria colpevolezza di fronte agli altri, il motivo che spinge a farlo a pezzi. L’assassino di Carol ha provato a bruciare il corpo ma non c’è riucito. Per farlo a pezzi, in quelle condizioni, ci vuole una grande motivazione sorretta sempre, nella psicosi del momento, da un’idea egoistica di ‘assolversi’”.