AGI - "Per il lavoro che faccio ne ho viste tante, in tutto il mondo. Ma quello che successe nel marzo 2020 fu devastante, un dramma mai visto, la più grande emergenza dal dopoguerra. Mai avrei pensato alla chiusura del Paese". Fabio Ciciliano, dirigente medico della Polizia di Stato ed esperto di Medicina delle catastrofi, è nel Comitato tecnico-scientifico (di cui per il primo anno è stato segretario e responsabile del delicato incarico della stesura dei verbali) proprio da quel drammatico marzo di due anni fa, fino a ieri, ultima seduta del Cts prima dello scioglimento. Racconta all'AGI quei primi momenti, e poi le fasi successive, di un'esperienza unica.
Non c'erano alternative
"Il Cts era stato formato a fine febbraio - ricorda - io sono arrivato il 7 marzo. Ormai eravamo in piena emergenza dopo Codogno. La notte dopo, e fu il momento più drammatico, il Paese fu chiuso. Attenzione: eravamo i primi in assoluto in occidente a farlo. Non avevamo esempi da seguire o tracce da imitare. Non potevamo dire: 'La Germania o la Francia l'ha già fatto', per esempio. Ma non c'era più tempo: le persone si ammalavano e morivano, non si conoscevano ancora le cure; la conoscenza del virus e dei suoi effetti sulle persone era agli albori. Mancavano le terapie intensive, mancavano i medici (che avevano cominciato anche loro ad ammalarsi), le persone si coprivano la bocca ed il naso con le sciarpe. Non c'era alternativa. Non bisogna avere memoria corta". Nacque la lunga serie dei Dpcm del Governo Conte, e fu lockdown. "La stranezza e l'angoscia della situazione - spiega Ciciliano - derivava dal fatto che per la prima volta le decisioni di un comitato tecnico venivano immediatamente tradotte in norme, senza mediazione, senza passaggi: non si poteva aspettare. C'era bisogno di qualcuno che in un certo senso prendesse per mano la politica e il Paese, di fronte a uno scenario da incubo inedito".
"Nelle premesse dei Dpcm si richiamavano i verbali del Cts, cosa mai vista prima. Ogni decreto esordiva con 'visti i verbali del Cts'. Ma in quella prima fase, ripeto, era inevitabile, era la scienza a dover tentare di dare la linea". In quelle riunioni concitate, spesso a orari impossibili, i membri del Cts dovevano affrontare l'inimmaginabile: "Avevamo di fronte immagini terribili. I malati che morivano, il Papa da solo a San Pietro, Mattarella all'Altare della Patria deserto. Anche lui con i capelli non tagliati, come tutti, cosa che vissi come un gesto di grande significato, di profondo rispetto per le regole che riassumeva il dramma di un Paese. Era una rincorsa al virus, spesso modificavamo decisioni lo stesso giorno, lo scenario cambiava rapidamente".
Al Cts spettava proporre le decisioni più drastiche, "e sapevamo che sarebbero state subito adottate". Quando il Paese rimase chiuso, dal 9 marzo 2020 per oltre un mese e mezzo, all'angoscia delle decisioni se ne aggiunse un'altra: "Vedevamo, come tutti, i dati giornalieri - ricorda il medico - e i casi non calavano, anzi. I ricoverati e i decessi aumentavano, fu terribile.
Assistevamo attoniti alle scene dell'esodo di massa da Milano, con la stazione invasa di pendolari che tornavano al Sud, contribuendo al dilagare dell'epidemia. Anche se va detto che la paura poi spinse gli italiani a rispettare le regole. Ci è voluto un mese per piegare la curva, un mese lunghissimo". Tutti erano impreparati: "Con il senno del poi, è facile dire oggi che 'si poteva fare così e non così', ma la verità è che almeno fino al ricovero dei coniugi cinesi allo Spallanzani non c'era la percezione di quello che stava per succedere".
La campagna vaccinale e l'addio all'approccio emergenziale
Il secondo anno di pandemia è stato completamente diverso: si affacciavano i vaccini, a Palazzo Chigi non più Conte ma Draghi, e anche il Cts ha cambiato composizione, ma anche in un certo senso missione. "La differenza sostanziale è la campagna vaccinale - sottolinea Ciciliano - che ci ha consentito di contenere il virus e soprattutto i suoi effetti più devastanti. Siamo passati da un approccio esclusivamente emergenziale a quello del tamponamento del fenomeno".
E' stato il tempo dell'Italia a colori: "Sì, il sistema dei colori fu introdotto con la seconda ondata, nell'autunno del 2020. Nei primi mesi il cambiamento di colore dipendeva dai contagi, rispondeva alle richieste delle Regioni di riaprire con un accettabile margine di sicurezza. C'era chi diceva di richiudere tutto, ma stavolta il lockdown non ci fu, e il sistema funzionò: non siamo mai andati oltre un Rt di 1,5, siamo riusciti a modulare le misure caso per caso in base alla situazione epidemiologica".
Poi, con la terza ondata, i colori sono stati collegati non più ai contagi ma ai ricoveri, altro segno del cambio di paradigma dalla fase emergenziale a quella della gestione: "Fu una scelta per cercare di non chiudere di nuovo quelle Regioni che, con i soli contagi, erano già da arancione magari ma con i ricoveri bassi. Un cambiamento radicale dovuto ai vaccini".
Il saluto (senza rimpianti) del Cts
E anche il Cts ha smesso di essere il luogo dove si decidevano gli interventi normativi: "Ormai il contesto è cambiato, la politica, le istituzioni, tutti possono muoversi sulla base dell'esperienza fatta, che in qualche modo ci ha consegnato un vademecum su dove, come e quando intervenire per evitare ritorni di fiamma del virus. L'approccio metodologico c'è già".
Per questo il Cts ora saluta senza rimpianti: "Per fortuna ora non servono più decisioni immediate, ad horas, e il sistema è pronto a gestire la situazione con le modalità ordinarie". Resta il rammarico, confida Ciciliano, soprattutto per gli errori comunicativi: quelli dei media, ovviamente, ma anche delle istituzioni e della comunità scientifica.
"E' questo credo uno degli insegnamenti più importanti che dobbiamo portarci dietro. Facciamo l'esempio sui vaccini. Con i social la situazione è diventata paradossale. La signora Peppina, esperta di ragù, scrive che il vaccino fa male, e ha 150mila like. L'Iss la smentisce, ma per il popolo social non importa, ha più valore Peppina. E purtroppo - aggiunge - anche tra gli scienziati abbiamo visto voci dissonanti. Se vai in tv a dire 'io il vaccino ai bambini non lo darei come congettura personale senza il supporto della scienza ha fatto un danno enorme, perchè la tv è un mezzo potentissimo. Anche per questo molti non si sono vaccinati, e alcuni sono morti. Sembra banale di fronte al dramma dei tanti morti, ma credo sia essenziale che nella prossima emergenza dovremo gestire meglio la comunicazione. Mettendo in chiaro che la scienza non è onnipotente, e non sa tutto, anzi. Abbiamo imparato sul campo, giorno dopo giorno, e grazie alla rapidità con cui sono stati messi a punto i primi vaccini, non a scapito della sicurezza come pensano i no vax, siamo arrivati a una situazione gestibile".
Il virus non è sparito
E' finita, quindi? "No. Il virus c'è. E la gestione dell'epidemia, e della campagna vaccinale, continua. Ma in regime ordinario, con un grande obiettivo: tornare alla normalità negli ospedali, recuperare tutte le prestazioni sanitarie saltate in questi due anni, restituire la sanità italiana a tutte le altre malattie che, purtroppo, non si sono fermate durante il Covid, anzi".