AGI Galia, 35 anni, nata nell'anno del disastro nucleare di Chernobyl, ha lasciato Kiev, per la seconda volta nella sua vita, il 13 marzo scorso, quando i militari russi si sono avvicinati pericolosamente alla capitale ucraina. Era ancora nel ventre materno quando i genitori, nel 1986, poco dopo la fuga radioattiva, decisero di allontanarsi da Kiev per trasferirsi in un'altra regione dell'Ucraina, piu' lontana dalla centrale, e farla nascere in un luogo meno esposto.
Ma oggi nessun posto è sicuro nel Paese di Galia, dal 24 febbraio scorso, quando sono cominciate l'invasione russa e le bombe. "Ho una laurea in economia, a Kiev mi occupavo di compensi e benefici in un'azienda e ho vissuto in questa città da quando mi ricordo", racconta Galia all'AGI, poco dopo il suo arrivo in Sardegna, a Nuoro, dove è riuscita a scappare assieme alla madre, Nadia, 66 anni, una donna taciturna dai grandi occhi chiari.
Insieme, madre e figlia abitavano in un quartiere moderno della capitale ucraina, parzialmente distrutto pochi giorni dopo la loro partenza. Nadia non se ne voleva andare, Galia ha dovuto convincerla. "I più anziani sono molto spaventati all'idea di allontanarsi da casa", racconta la giovane profuga. "Pensano di non avere abbastanza risparmi per sopravvivere e di non essere utili alla società". La fuga è stata preceduta da 17 giorni di sconcerto, paura e stanchezza cronica: non si dorme col rumore delle bombe.
Galia è innanzitutto incredula. Nei giorni precedenti il primo bombardamento, alcuni amici dalla Repubblica Ceca avevano tentato di metterla in guardia sul rischio di una guerra, ma lei non aveva dato loro retta: un'eventualità impossibile, a suo avviso. "Gli ucraini hanno sempre visto i russi come loro fratelli e sorelle, data la vicinanza geografica e linguistica. Non avremmo mai potuto immaginare che Putin e l'esercito russo ci odiassero cosi' tanto".
"Putin? Un folle"
Di Vladimir Putin, Galia pensa che il presidente russo sia "un folle che ha messo in mano pochi soldi a giovani prevalentemente disoccupati perché venissero a massacrarci, giustificando i suoi crimini con la convinzione che l'Ucraina voglia entrare nella Nato".
"Ma il nostro popolo non subisce pressioni da nessuno, dalla Russia come dalla Nato", afferma la 35enne, che evita di parlare di politica con gli amici che ha in Russia, perché anche loro sostengono l'operato di Putin. E sul presidente ucraino Volodymyr Zelensky, Galia usa poche parole ben pesate: "Sta cercando di gestire una situazione terribile. Il suo unico obiettivo ora è di rispondere con efficacia a una situazione ingenerata unicamente da Putin e dai vertici militari russi, che hanno deciso di attaccarci per delle ragioni malate".
"Noi carne da macello"
Più espliciti, in proposito, molti suoi compagni di viaggio, come riporta all'AGI Marco Gentile, volontario dell'associazione SVS che partecipato al trasferimento dei profughi a Nuoro: "Sul van che ho condotto io traspariva molta rabbia nei confronti di Zelensky", riferisce Gentile. "Raccontavano che, dopo tutti questi giorni di distruzione e morte, si sentono carne da macello".
"Il rumore delle bombe è spaventoso, e ancora di più il tremore delle finestre quando si schiantano", ricorda Galia. "Era impossibile dormire la notte: dalle 22 le bombe iniziavano a scendere ora dopo ora, fino alla mattina. Quando la paura era troppa ci rifugiavamo nel pianerottolo del nostro stabile. Abbiamo provato qualche volta a scendere nella metropolitana, come raccomanda il governo, ma sottoterra mancavano i beni di prima necessita' e le attrezzature di base per accogliere i rifugiati. Allora ci sentivamo piu' sicure a casa nostra, al primo piano".
Acqua e pane razionati
Giorno dopo giorno, i beni sugli scaffali dei supermercati hanno iniziato a scarseggiare, fino ad arrivare al razionamento di pane e acqua. Uscire durante il giorno era diventato sempre più difficile, perché le bombe, anche se con meno frequenza che di notte, fischiavano comunque sopra i palazzi di Kiev.
"Con mia madre abbiamo pensato di raggiungere alcuni nostri amici in punti dell'Ucraina oggi più sicuri, ma sarebbe stato un azzardo perché la situazione cambia di giorno in giorno", spiega Galia. "E non potevamo nemmeno andare da alcuni nostri parenti che risiedono in altre città, perché i collegamenti stradali sono stati interrotti dai bombardamenti". Da qui la decisione, il 13 marzo scorso, di raccogliere qualche vestito, un po' di cibo e di acqua, i documenti e i cellulari e di salire sull'unico treno giornaliero che da Kiev porta a Varsavia.
Ammassate sul treno per la Polonia
"Eravamo ammassati l'uno sull'altro, e completamente al buio. Un viaggio che in condizioni normali dura meno di un giorno, per noi ne è durato quasi tre", ricorda Galia. "Mentre uscivamo da Kiev sentivamo risuonare le bombe nelle foreste vicine. Poi il fragore si è allontanato sempre più fino a sparire, e per la prima volta dopo quasi tre settimane, nonostante la calca, siamo riuscite ad avere un po' di riposo".
Una volta giunte a Varsavia, Galia e Nadia sono state accolte con gentilezza e radunate in una sorta di hub di primo soccorso, assieme ad altre cinquemila persone. La possibilità di dormire in letti pieghevoli e di ricevere cosmetici e prodotti per l'igiene personale in un contesto di pace è stata per loro una novità inaspettata, dopo settimane di paure e privazioni.
Tramite un connazionale ospite dello stesso hub, le due donne hanno avuto un primo contatto con l'associazione nuorese SVS-Viaggi per la Salute, in missione umanitaria in Polonia, che da lì a poche ore sarebbe partita in Italia per portare in salvo quante più persone possibile. Sono stati in trenta, incluse Galia e Nadia, a raggiungere Nuoro il 21 marzo scorso, dopo un viaggio di ottantaquattro ore attraverso la Repubblica Ceca, l'Austria e l'Italia.
Senza vestiti né scarpe
"Qui viviamo da una famiglia molto gentile e amichevole, e stiamo cercando di imparare un po' di italiano per comunicare con loro", racconta Galia all'AGI. "Da quando siamo a Nuoro abbiamo ricevuto vestiti e scarpe, perché ne eravamo quasi del tutto sprovviste. E veniamo nutrite con cibi molto gustosi".
"Io cerco sempre di essere positiva", aggiunge sorridendo, "e mi dico che questa è stata l'occasione per visitare un nuovo Paese".
"I miei sogni? Ne ho uno solo: che la guerra finisca presto e che possa ritornare a casa. Ogni giorno cerco di darmi una scadenza mentale: ancora una settimana e sarà tutto finito, ancora un mese e tutto andrà bene. L'Italia è bella e tutti sono gentili, ma la mia vita, i miei amici sono a Kiev".
Sui social con gli amici
Galia scorre rapidamente lo schermo del suo cellulare, che usa costantemente per tenersi in contatto, mediante i social, con i suoi amici ucraini che non hanno potuto o voluto abbandonare Kiev. Le immagini del prima e del dopo i bombardamenti si susseguono sullo smartphone senza sosta.
Sua madre, la sua famiglia, le resta accanto silenziosa. Quando si chiede a Nadia come si senta, risponde sottovoce che non ha prospettive. "In questo momento sto bene e sono al sicuro, ma sono seriamente preoccupata per il futuro. Il mio e quello di mia figlia".