AGI - Vengono avanti a passo lento nel rollio delle valigie sul pontile di legno. Il cielo basso a larghe nuvole inquiete che confondono il Danubio nell’aritmico addensarsi e impallidire quando il sole le sfiora. Tagliati dal freddo, i più con lo sguardo basso, attenti a dove mettono i piedi con lo scrupolo di non inciampare di qualsiasi viaggiatore che trascina i bagagli dopo essere sceso dal traghetto.
Non hanno l’aria di chi è stato preso alla sprovvista da una partenza inattesa. Hanno piumini e cappelli eleganti come Odessa, la città preziosa sul mar Nero da cui la maggior parte di loro viene. Hanno cagnolini nella borsetta col pelo di un leone domato con cura, buste di plastica riempite non più dell’orlo, trolley e passeggini variopinti.
Un bambino con la giacca rossa e le mani in tasca ha arrotolato al collo uno di quei cuscini per viaggi lunghi. Parlano poco, telefonano poco ma potrebbero essere solo storditi come lo è talvolta chi arriva in un posto nuovo. Sembrano viaggiatori normali e infatti quasi tutti hanno scritto sul permesso provvisorio che hanno attraversato il fiume per “turismo”. Invece sono sospesi su un pontile prima di passare dalla sponda destra del Danubio ucraino a quella sinistra rumena. Guerra e pace in dieci minuti di traversata sul fiume. Nessuno si volta indietro dove ci sono case, figli, mariti, genitori che forse non vedranno mai più. Ancora pochi passi. Alla fine del pontile sono dei profughi.