AGI - Oltre l'80% dei cervi dalla coda bianca (Odocoileus virginianus) dell'Iowa testati è risultato positivo al coronavirus SARS-CoV-2. A rilevarlo, uno studio americano guidato dall' Istituto di Scienze della Vita "Huck" dell'Università Statale della Pennsylvania, in collaborazione con i ricercatori della Wildlife Bureau, Dipartimento delle risorse naturali dell'Iowa, del College di Medicina Veterinaria dell'Università Statale dell'Iowa, dello Houston Methodist Research Institute e di altri centri di ricerca. I risultati, pubblicati sulla rivista PNAS, suggeriscono che vi è un numero crescente di cervi dalla coda bianca infettati dal coronavirus SARS-CoV-2 in Nord, Centro e Sud America. Gli scienziati sono giunti alle loro conclusioni dopo aver testato la positività al patogeno pandemico in campioni di linfonodi retrofaringei (RPLN) prelevati da centinaia di esemplari.
Nella prima fase dello studio hanno analizzato i linfonodi di 151 cervi selvatici e di 132 in cattività raccolti tra l'aprile del 2020 e il dicembre del 2020, rilevando la positività nel 33,2 percento di essi (94 su 283). Il risultato più sconvolgente è arrivato nella seconda fase dello studio, condotta tra il 23 novembre 2020 e il 10 gennaio 2021, nella quale sono risultati positivi al coronavirus SARS-CoV-2 ben 80 cervi su 97, ovvero l'82,5 percento del totale esaminato. L'RNA virale è stato rilevato attraverso la reazione a catena della polimerasi inversa (RT-PCR), la stessa approfondita analisi di laboratorio dei tamponi molecolari.
Lo studio, coordinato dal professor Suresh V. Kuchipudi, docente presso il Laboratorio di diagnostica animale dell'ateneo di University Park, è nato dopo un recente rapporto secondo cui il 40% dei cervi selvaggi dalla coda bianca negli Stati Uniti aveva anticorpi contro SARS-CoV-2.
La scoperta ha dei risvolti allarmanti: prima di tutto, indicano gli autori, c'è il potenziale pericolo che questi animali siano ospiti serbatoio per il virus SARS-CoV-2, una scoperta con importanti implicazioni per l'ecologia, la persistenza a lungo termine e l'evoluzione del virus, compreso il potenziale spillback a umani.
Inoltre, rilevano gli autori, i risultati sollevano la preoccupante possibilità di zoonosi inversa, soprattutto nelle aree extraurbane ad alta densità di cervi. I nostri risultati evidenziano anche i potenziali rischi e le considerevoli lacune di conoscenza associati alla continua evoluzione molecolare di SARS-CoV-2 negli animali.