AGI Disastro ambientale marino, inquinamento e naufragio colposo: sono i reati contestati al comandante e a due ufficiali di coperta del mercantile 'CDry Blue', 108 metri di lunghezza, stazza lorda di 5.600 tonnellate, che il 21 dicembre 2019 finì sugli scogli nel mare in burrasca del Sud Sardegna.
La procura di Cagliari ha disposto la notifica di conclusione delle indagini preliminari sul naufragio ai tre uomini dell'equipaggio, alla società armatrice e alla compagnia che gestiva la nave: secondo l'accusa, i reati sono stati commessi nell'interesse e a vantaggio delle due società.
Le lunghe operazioni di recupero
Solo l'estate scorsa il cargo è stato rimosso dalla costa di Capo Sperone, sull'isola di Sant'Antioco, dopo una permanenza di oltre un anno e mezzo, grazie a una chiatta lunga 70 metri impiegata da una società statunitense specializzata per smontare la nave pezzo per pezzo. Ma nel frattempo dal CDry Blue si erano riversati in mare ingenti quantità di idrocarburi di vario tipo, mai recuperati, nonostante gli interventi di ditte specializzate, secondo quanto accertato dagli investigatori del Nucleo speciale d'intervento (Nsi) del comando generale del Corpo delle capitanerie di porto di Roma.
Così il cargo si è incagliato
Il mercantile, battente bandiera italiana e costruito nel 2010, è rimasto incagliato dal dicembre del 2019 al luglio scorso. Prima di naufragare, il mercantile adibito al trasporto di caffè era partito, vuoto, dal porto di Cagliari, diretto in Spagna ad Alicante (da dove era inizialmente salpato carico), in condizioni meteomarine particolarmente avverse e con alcuni problemi tecnici, che - secondo l'accusa - non erano stati segnalati all'Autorità marittima.
L'equipaggio di 12 uomini era stato salvato subito con un elicottero che aveva sfidato il forte vento (con raffiche anche di 50 nodi) e le onde altissime che s'infrangevano sulla nave e sulla costa: un'operazione spettacolare, immortalata in un video della guardia costiera rimbalzato sul web.
Le contestazioni
Gli investigatori del Nsi addebitano al comandante della CDry Blue e ai due ufficiali di coperta di aver navigato in violazione delle norme sulla sicurezza della navigazione e con modalità che denotano "imperizia marinaresca, imprudenza e negligenza" su rotte "altamente pericolose in presenza di forte vento", che poi ha spinto il cargo verso la costa di Sant'Antioco.
I problemi tecnici della motonave riscontrati dal Nsi implicavano una riduzione di potenza dei motori, elemento che avrebbe contribuito a causare il naufragio assieme alla decisione di invertire la rotta per cercare un riparo. Nei giorni successivi al naufragio le pessime condizioni meteomarine avevano ostacolato le operazioni antiquinamento, incluso lo svuotamento dei serbatoi di carburante: all'epoca si era stimato che contenessero fra gli 8 e i 12 mila litri di gasolio.
Secondo l'accusa, lo sversamento in mare ha alterato in modo "difficilmente reversibile" le matrici ambientali marine e causato la propagazione duratura di ingenti quantità di vapori di idrocarburi.