AGI - Basta, basta: l’uomo non è schiavo del lavoro. L’uomo, il più umile, ha diritto alla dignità, alla vita. Si faccia, di questo, un programma di impegno e di azione. Francesco sembra quasi esasperato, a dispetto dei toni e dell’atmosfera del Natale. Basta quei morti quegli operai che cadono dalle gru, quelle operaie uccise dalle macchine della tessitura, quei lavoratori schiacciati dalle lastre di pietra. Non esiste solo il covid (e lui non la nomina nemmeno, la pandemia); esistono altre stragi, altre negazioni della vita.
Santa Messa di Natale, il Papa incensa il Bambino, ha un segno di devozione per l’icona della Madonna Salus Populi Romani. La venera particolarmente, questa immagine di Maria vicina ai piccoli e agli ultimi. Al popolo, quello che vive nelle periferie e che, in un mondo che ama solo il successo, viene considerato più o meno niente.
Eppure a Natale, sottolinea in una omelia di rara intensità, “nella notte si accende una luce”, a Betlemme “di grande non c’è nulla: solo un povero bambino avvolto in fasce, con dei pastori attorno. Lì c’è Dio, nella piccolezza”.
Infatti “Dio non cavalca la grandezza, ma si cala nella piccolezza. La piccolezza è la via che ha scelto per raggiungerci”. Si noti bene: Dio “va in cerca dei pastori, degli invisibili; noi cerchiamo visibilità. Gesù nasce per servire e noi passiamo gli anni a inseguire il successo. Dio non ricerca forza e potere, domanda tenerezza e piccolezza interiore”.
Stiamo attenti, allora: “in questa notte di amore un unico timore ci assalga: ferire l’amore di Dio, ferirlo disprezzando i poveri con la nostra indifferenza”. Loro “sono i prediletti di Gesù, che ci accoglieranno un giorno in Cielo”. E cita, Bergoglio, Emily Dickinson, la poetessa americana delle piccole cose e delle profonde intuizioni: “Chi non ha trovato il Cielo quaggiù lo mancherà lassù”.
Parole più da quaresima che da Natività, ma spiegano l’esortazione successiva: “Non perdiamo di vista il Cielo, prendiamoci cura di Gesù adesso, accarezzandolo nei bisognosi, perché in loro si è identificato”.
Nella simbologia del Natale i bisognosi sono i pastori, la gente della terra che viveva, semi impura com’era, ai margini della società.
“Erano i più semplici e sono stati i più vicini al Signore”, avverte Papa Francesco, “Stavano lì per lavorare, perché erano poveri e la loro vita non aveva orari, ma dipendeva dal gregge. Non potevano vivere come e dove volevano, ma si regolavano in base alle esigenze delle pecore che accudivano. E Gesù nasce lì, vicino a loro, vicino ai dimenticati delle periferie. Viene dove la dignità dell’uomo è messa alla prova”.
Ma soprattutto “viene a nobilitare gli esclusi e si rivela anzitutto a loro: non a personaggi colti e importanti, ma a gente povera che lavorava. Dio stanotte viene a colmare di dignità la durezza del lavoro. Ci ricorda quanto è importante dare dignità all’uomo con il lavoro, ma anche dare dignità al lavoro dell’uomo, perché l’uomo è signore e non schiavo del lavoro”. Quindi “nel giorno della Vita ripetiamo: basta morti sul lavoro! E impegniamoci per questo”.
Non si tratta solo di giustizia: si tratta di ricomporre un ordine, un’armonia. “Guardiamo e capiamo che attorno a Gesù tutto si ricompone in unità: non ci sono solo gli ultimi, i pastori, ma anche i dotti e i ricchi, i magi”, conclude, “a Betlemme stanno insieme i poveri e i ricchi, chi adora come i magi e chi lavora come i pastori. Tutto si ricompone quando al centro c’è Gesù: non le nostre idee su Gesù, ma Lui, il Vivente”.
“Gli ultimi occupano il posto più vicino a Lui”, però “pastori e magi stanno insieme in una fraternità più forte di ogni classificazione”. È la gloria del Natale, è la disperazione di chi non sa vedere il Cielo quaggiù, e quindi non lo troverà lassù.