AGI – Milano, 3 dic. – Il Ministero dell’Interno deve spiegare entro 30 giorni perché non vuole rendere pubblici gli atti sulla base dei quali 400 uomini e donne, tra carabinieri, polizia, guardia di finanza ed esercito, vennero inviati nella Bassa Bergmasca il 5 marzo 2020 e poi ritirati 3 giorni dopo, determinando la mancata ‘zona rossa’ in anticipo sul lockdown nazionale. Un episodio che potrebbe avere contribuito a fare di questo territorio uno dei focolai Covid più micidiali al mondo.
Lo dice una nuova ordinanza del Consiglio di Stato nell’ambito di un complesso iter cominciato un anno e mezzo fa dall’AGI con una richiesta di accesso agli atti al Ministero per potere consultare questi documenti.
"Il Governo spieghi quali sono le ragioni di sicurezza nazionale"
Il Ministero, scrivono i magistrati Michele Corradino, Giulio Veltri, Giovanni Pescatore, Solveig Cogliani ed Ezio Fedullo, “deve rendere documentati chiarimenti entro 30 giorni” sulle ragioni addotte per non svelare le carte e cioè “l’esigenza di secretazione di informazioni concernenti ‘l’aria tecnico-industriale, tecnico-operativa, connessa con la pianificazione, l’impiego e l’addestramento delle forze armate”; le strategie “di contrasto al crimine e di tutela della sicurezza pubblica”; “un’esigenza di riservatezza pur a fronte del considerevole lasso temporale trascorso dall’epoca di interclusione della zona rossa nei Comuni di Nembro e Alzano Lombardo”.
Il Tar aveva detto che gli atti devono essere resi pubblici
Il primo ‘no’ del Ministero all’AGI era arrivato il 6 novembre dello scorso anno. Si negavano “gli atti inerenti l’impiego e il ritiro dei militari nelle zone dei Comuni di Nembro e Alzano” richiamandosi alle “cause di esclusione” previste dalla legge cioè “la sicurezza e l’ordine pubblico”, la “sicurezza nazionale”, “la difesa e le questioni militari”, “la conduzione dei reati e il loro perseguimento”.
Il Tar, a cui l’AGI si era rivolta attraverso un ricorso scritto dall’avvocato Gianluca Castagnino, aveva però respinto la tesi del Ministero sottolineando che l’accesso civico “è finalizzato a favorire forme di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche”.
Secondo i giudici Francesco Arzillo e Daniele Bongiovanni, rendere pubbliche le carte non avrebbe comportato nessun pericolo perché “la richiesta è stata formulata nel settembre 2020 quando la questione della ‘chiusura’ delle aree era superata da tempo”, “si tratta di un’attività di impiego di militari in un ambito toponomastico e temporale circoscritto e non si inquadra in un contesto più ampio finalizzato alle modalità di contrasto al crimine e di tutela della sicurezza pubblica, tanto che una loro divulgazione vanificherebbe la strategia individuata dalle forze di polizia” e lo stesso procuratore di Bergamo, Antonio Chiappani, aveva assicurato che non sono atti coperti da segreto.
Ora 'palla' di nuovo al Governo
Per questi motivi, l’organo di giustizia amministrativa aveva ordinato di rendere accessibili gli atti nel giro di un mese.
Ma nel luglio scorso il Consiglio di Stato, al quale aveva il Ministero si era appellato, aveva sospeso la decisione del Tar. Ora la nuova ordinanza che rimanda ‘la palla’ al governo chiamato a spiegare, documenti alla mano, per quale ragione la collettività non debba sapere perché i militari, già pronti a ‘tracciare’ la zona rossa, vennero mandati via.
Al momento resta un mistero sulla base di quali ragionamenti Governo e Regione Lombardia, entrambi ne avevano facoltà, decisero di non dare corso al suggerimento degli esperti del Cts che il 5 marzo scrivevano: "I dati in possesso rendono opportuna l'adozione di un provvedimento per inserire Nembro e Alzano nella zona rossa". Così come era accaduto per Codogno e altri Comuni del Lodigiano che, in termine di vite e contagi, hanno pagato un prezzo meno severo rispetto alla Val Seriana.