AGI - Si è bruciato con le amicizie improponibili che ha stretto a Palermo, con i contatti inammissibili per un idolo delle folle, addirittura col nipote prediletto di Matteo Messina Denaro. Fabrizio Miccoli si è consegnato nel carcere a Rovigo dopo la condanna definitiva a 3 anni e mezzo per estorsione aggravata dal metodo mafioso.
Il campione, una carriera ormai dimenticata, inghiottita da una vicenda giudiziaria segnata in negativo sin dall'inizio. Non solo per le parole in libertà e per i giudizi sferzanti sul giudice Giovanni Falcone, intercettati non senza sorpresa da chi indagava: "Quel fango", aveva detto del magistrato ucciso a Capaci. Non c'era solo questo, no. Quando però la notizia venne fuori, l'imputato Miccoli si convinse che fosse l'accusa più grave nei suoi confronti e invece era solo il contorno di quanto scoperto dalla Direzione investigativa antimafia sul suo conto. Relazioni pericolose con il figlio del boss Antonino Lauricella, inteso lo Scintilluni, latitante fino al 2011: e proprio mentre cercavano lui, gli uomini della Dia si erano imbattuti in Miccoli, amico di Mauro Lauricella.
I rapporti tra i due si erano rafforzati dopo una misteriosa rapina a casa in via Archimede, nel capoluogo siciliano. Mentre il calciatore idolo delle folle dei ragazzini rosanero era in campo allo stadio Barbera, si introdussero a casa sua dei banditi che rapinarono la moglie, in presenza dei figli piccoli.
Secondo alcune ricostruzioni, data da lì l'avvicinamento a Mauro Lauricella, abile nel presentarsi come una sorta di problem solver in favore del fantasista della squadra, che all'epoca militava in Serie A e faceva sognare con traguardi mai visti, come le vittorie a San Siro contro il Milan o contro la Juventus in casa, con la qualificazione europea e la Coppa Italia sfumata contro l'Inter in finale.
Nella vicenda che lo ha condotto in carcere, Miccoli è ritenuto però l'ispiratore e il mandante di quanto organizzato da Lauricella, per recuperare un credito: era amico del calciatore, l'ex fisioterapista del Palermo Giorgio Gasparini, che si era rivolto a Miccoli per farsi ridare dei soldi da un imprenditore palermitano con cui era stato in società nella gestione di una discoteca. E Miccoli non aveva esitato a chiedere l'intervento del figlio del capomafia della Kalsa, pure latitante in quel periodo.
Era stato allora che si era concretizzato un rapporto già andato avanti e intercettato a lungo dagli agenti della Dia con i dialoghi spregiudicati in cui si parlava male di Falcone oppure in cui, avendo visto movimento di agenti nei pressi del campo di allenamento del Palermo, Boccadifalco, Miccoli aveva chiamato il suo amico Francesco Guttadauro, figlio di una sorella del superlatitante Messina Denaro e oggi a sua volta in carcere, per dirgli di non farsi vedere da quelle parti.
Amicizie pericolose segnate da fotografie pubblicate sui social, che restituivano l'immagine di un Miccoli double face, donne, motori e personaggi poco raccomandabili. Immagine poi confermata dai processi e non smentita dalle lacrime con cui aveva affrontato i giornalisti dopo essere stato interrogato in procura.
Lui credeva di andare davanti ai pm per difendersi dalle parole contro Falcone e invece gli avevano contestato un'estorsione mafiosa in piena regola. La stessa procura aveva però chiesto due volte, coi pm Maurizio Bonaccorso e Francesca Mazzocco, l'archiviazione, ma il gip Fernando Sestito aveva detto di no in entrambi i casi. Il giudice aveva visto giusto, i magistrati dell'accusa avevano cambiato idea. Adesso si sono aperte le porte del carcere di Rovigo.