AGI - Decresce l’odio online ma si radicalizza, diventando più insidioso. È la sintesi della tendenza che emerge dall’ampia sesta edizione della “Mappa dell’Intolleranza”, progetto e rapporto ideato da Vox, l’Osservatorio Italiano sui Diritti, in collaborazione con l’Università Statale di Milano, l’Università di Bari Aldo Moro, Sapienza, Università di Roma e IT’STIME dell’Università Cattolica di Milano.
Nel corso della rilevazione del 2020 (periodo marzo-settembre) erano stati raccolti un totale di 1.304.537 tweet, dei quali 565.526 negativi (il 43% circa contro il 57% positivi) mentre ella rilevazione 2021 invece (periodo metà gennaio-metà ottobre) sono stati raccolti 797.326 tweet, dei quali 550.277 negativi (il 69% contro il 31% di positivi).
E questo, nonostante il periodo della ricerca sia stato più lungo rispetto all’anno precedente, sono stati raccolti meno tweet, ma è cresciuta significativamente la percentuale di tweet negativi sul totale dei tweet rilevati. Quindi, si tratta di un maggior numero di tweet negativi e con messaggi di odio e discriminazione, un segno evidente di una forte radicalizzazione del fenomeno.
Ma non è tutto. A questa prima analisi ne segue una seconda, che identifica un allargamento dei target di odio online che riguarda alcune peculiari categorie di soggetti: le persone con disabilità (16,43%) che hanno ricevuto più tweet negativi di tutte le altre; le persone omosessuali (7,09%); gli ebrei (7,60%); le donne (43,70%) e gli islamici (19,57%). L’anno scorso le categorie caratterizzate da un’incidenza maggiore di tweet negativi erano solo tre. Come si può notare ad occhio nudo, la maggiore radicalizzazione riguarda un odio generalizzato contro le donne e soprattutto contro le donne più esposte come politiche e giornaliste come analizza il rapporto, a cui fanno seguito i tweet contro i musulmani, i disabili, gli ebrei, gli omosessuale e i migranti.
Tuttavia, se si osservano i dati nel dettaglio dei singoli cluster, emerge che in 5 cluster su 6 la percentuale di tweet negativi è più alta rispetto alla percentuale di tweet positivi (persone con disabilità: 76,1% negativi; persone omosessuali: 74,2% negativi; ebrei: 72,6% negativi; donne: 70,7% negativi; islamici: 65,2% negativi) tranne nel cluster xenofobia (49,1% negativi) mentre nel 2020 sono stati invece solo 3 i cluster nei quali la percentuale di tweet negativi era maggiore rispetto alla percentuale di tweet positivi. Nel dettaglio: persone con disabilità (64,2% tweet negativi), islamici (58,4% tweet negativi), donne (55,7% tweet negativi).
L'intolleranza è più diffusa al Centro e al Nord
Secondo la ricerca Vox sulla “Mappatura dell’intolleranza”, Nord Italia e Lazio sono poi i tue territori in cui più si concentra l’odio nella sua forma “antisemita” ma al Nord è anche diffusa l’”islamofobia”, in particolare nei confronti dei musulmani, in seguito all’arrivo dei talebani in Afghanistan e a ridosso del ventennale dell’attacco alle Torri Gemelle.
Tra le altre accezioni troviamo la “misoginia (diffusione a livello nazionale euna concentrazione forte nel Nord Est”, “omofobia” (diffusione nazionale, con concentrazioni al Nord e al Sud”, “xenofobia” (Nord Italia e in modo molto diffuso in Campania, Puglia e Sicilia), “disabilità” con una diffusione a livello nazionale e con concentrazioni significative al Centro e al Nord.
Se poi guardiamo i picchi e la distribuzione per categorie di soggetti notiamo che dopo quelli contro i musulmani ci sono i tweet contro gli ebrei, il 27 gennaio, in occasione della Giornata della Memoria, così come in corrispondenza delle manifestazioni antisemite internazionali e delle esternazioni della senatrice Segre contro i No Vax, che hanno accostato il green pass alle persecuzioni razziali; contro le donne, a febbraio, a seguito degli insulti pronunciati in diretta radio dal professore universitario Giovanni Gozzini ai danni di Giorgia Meloni, ma anche a settembre, in piena emergenza femminicidi (7 in 10 giorni), infine nei confronti delle persone omosessuali, quando il rapper Fedez ha interrotto la sua esibizione al Concerto del Primo Maggio per leggere un intervento in difesa del Ddl Zan.
E in quest’ambito, osserva la ricerca, l’odio “prende sempre più la forma di una radicalizzazione in circoli più chiusi e più estremi” dentro i quali si riversa “un uso del lessico offensivo traslato rispetto al contesto di utilizzo originario”.
Cosa significa? Quest’aspetto “è evidente dai tweet negativi raccolti per la disabilità e l’islamofobia” perché “alcuni termini discriminatori o con accezione negativa che appartengono a queste due categorie sono stati utilizzati per definire le azioni di alcuni esponenti politici, soprattutto in riferimento alla gestione della pandemia” (la definizione di “talebano” o “demente”) cosicché “le parole si ‘gonfiano’, sradicate dal loro territorio semantico di appartenenza”. Il risultato, osserva il Rapporto Vox, è un generale impoverimento del lessico e uno spostamento del ragionamento per “bias cognitivi”, i quali “influenzano inevitabilmente i pensieri e le parole degli hater”. Secondo il rapporto è questa, probabilmente, la ragione dell’aumento esponenziale dei termini contro la disabilità.
L'odio in rete contro i profili delle donne lavoratrici
Un focus particolare del progetto Mappa dell’Intolleranza nella sua sesta edizione è consistito in un’analisi dell’odio online riferito ad alcuni profili di “professioniste” dell’informazione, politiche, virologhe, musiciste e figure legate in vario modo al mondo dello spettacolo e dello show business “che confermerebbe una sorta di accanimento contro la figura della donna che lavora”. Pertanto, tra le donne più odiate troviamo in sequenza Giorgia Meloni, Teresa Bellanova, Vitalba Azzollini, Cathy La Torre, Ilaria Capua, Antonella Viola, Barbara D’Urso, Fiorella Mannoia, Emma Marrone, Myrta Merlino, Selvaggia Lucarelli, Chiara Ferragni.
Dalla rilevazione appare chiaro come le categorie in assoluto più colpite siano le politiche e le giornaliste, a confermare un trend già rilevato in generale dalla Mappa dell’Intolleranza. Per le politiche, il dato conferma una generale tensione contro la politica, espressione della fase di gestione della pandemia.
“Nello specifico della misoginia, tale tensione prende le forme di una costante derisione e di svilimento delle qualità professionali delle donne, considerate incapaci e inette”, si legge nel rapporto Vox-GIULIA. Per quanto riguarda lo specifico delle giornaliste, invece, il “discorso d’odio” si conferma e concentra “come lo scorso anno sulla presunta incompetenza o inadeguatezza della professionista”. I dati considerati dalla ricerca riguardano soprattutto i tweet ma se si estende l’analisi anche ad altri social media, come ad esempio Facebook, sia ha che – come rileva Shoshana Zuboff, docente alla Business School di Harvard, una delle più fini e attente osservatrici del panorama web, il successo di Facebook deriva, appunto, proprio “da operazioni architettate da dietro uno specchio unidirezionale per tenerci nell’ignoranza e avvolti in una nebbia di diversivi, eufemismi, menzogne”.
Secondo il rapporto Vox, poi, “come sempre avviene nei fenomeni di radicalizzazione, è fuor di dubbio che ci sia una sorta di azione diretta di gruppi eversivi nel tentativo di ‘soffiare sul fuoco”, tant’ che “le cronache lo stanno dimostrando, anche con il fenomeno No vax”. Spiegano, infatti gli psicologi, osserva la ricerca Vox, che ciò che accumuna infatti gli hater “è il bisogno di esternare l’odio”. Si tratta pertanto “di un bisogno primitivo, non elaborato, ma riversato su gruppi che culturalmente rappresentano ciò che è considerato debole o inferiore”, quindi “di persone dal funzionamento psichico basato su dinamiche binarie: dentro-fuori, buono-cattivo, bianco-nero, uomo-donna, etero-omo. Persone, incapaci di fronteggiarsi con un panorama che muta e che per questo fa paura. Si grida di più perché si sa di essere di fronte a fenomeni e trasformazioni epocali che spaventano”.
Odio in rete con algoritmi sempre più mirati
Ultima considerazione della ricerca è una lettura più approfondita dello “hate speech”, cioè dell’incitamento all’odio online, e di una una specificità dei social non solo nella moltiplicazione, ma proprio nel fenomeno di creazione di gruppi chiusi a forte imprinting culturale, che è il fenomeno delle “echo chambers”, le cosiddette camere dell’eco o del riverbero mediatico in cui “le informazioni, le idee o le credenze vengono amplificate o rafforzate dalla comunicazione e dalla ripetizione all'interno di un sistema definito”, come si legge sul dizionario dei nuovi media.
Ovvero, “Decine di studi, compresa la nostra Mappa – conclude il rapporto – hanno dimostrato e stanno dimostrando che l’introduzione di un algoritmo capace di segmentare le communities sui social per ottenere profilazioni di dati sempre più efficaci e sofisticate, ha fatto sì che persone il cui corredo emotivo, psichico, culturale equivalesse, si ritrovassero a scambiarsi i loro convincimenti in una sorta di spazio virtuale che gli ha fatto da eco. Uno spazio virtuale, che può essere occupato, usato e manipolato da chi ha interesse a diffondere panico e rabbia”.
In questo caso “gli psicologi parlano di ‘bias dell’ingroup’, di quegli elementi cioè che rafforzano i nostri pregiudizi. Vale a dire: se sono un terrapiattista e mi ritrovo in mezzo a una camera dell’eco con altri terrapiattisti, la mia visione del mondo non può che uscirne rafforzata. E io la rafforzerò, per poter far parte di quel gruppo”. Ecco, così viaggiano i pregiudizi contro le donne, per esempio, le quali “non devono lavorare e si devono sottomettere. E contro gli ebrei untori da secoli. E contro i musulmani, che sono tutti terroristi”. Così viaggia e progredisce la paura su internet e oltre, secondo i ricercatori di Vox.