AGI - Su quell’aereo partito dopo Ferragosto da Kabul verso Roma, su quell’aereo stipato di umanità terrorizzata, c’era una bimba di quattro mesi che oggi ha incontrato il Papa.
Suo padre, Juma, che qualche parola in italiano la riesce a dire, e sua madre, Zima, il capo ammantato in un hijab rosa, siedono insieme a lei e ai tre figli più grandi tra i banchi della Basilica di Santa Maria degli Angeli in Assisi, davanti alla Porziuncola dove predicò Francesco, e dove un nuovo Francesco è tornato a parlare. Tra i poveri, ai poveri: cioè a tutti.
“La storia di questa famiglia - racconta ad AGI Patrizia Ciarma, responsabile della Caritas Umbria che li accoglie - è la storia di tanti: come molti afgani hanno usufruito di quel canale umanitario che si è aperto dopo che i talebani hanno preso il potere, e sono saliti su uno dei voli allestiti per chi aveva collaborato con le nazioni occidentali. Sono sempre storie di difficoltà e di abbandono, che chiamano all’accoglienza. Per un senso che è solo di umanità”.
Vengono da ogni parte e da ogni credo i cinquecento poveri che sono stati invitati da Papa Francesco presso la città che fu del Poverello per elezione: sei di loro hanno parlato in prima persona delle loro storie di esclusione, e talvolta di disperazione, e della grazia che attraverso una mano tesa li ha rimessi in cammino.
Storie di vite e di cuori spezzati (“il mio corpo è qui” ha detto una testimone afgana, “cuore e anima sono rimasti a Kabul”), quelle raccolte durante la quinta Giornata del povero, ma anche storie di speranza e - ha voluto sottolineare il Pontefice - di resistenza: resistenza nella memoria del bene, per non soccombere alla tristezza cui ogni povertà umana tenta. Mani tese e cuori aperti, questo è l’invito del Papa a se stesso e a ognuno, non solo ai fedeli e ai volontari, che sono chiamati a offrire una parola insieme all’aiuto concreto, perché “è quella spirituale la prima emarginazione di chi è nel bisogno”.
È per questo dunque che schiere di volontari scaricavano in Basilica, durante il momento di preghiera, scatoloni pieni dei “regali del Papa ai bisognosi”: zaini pieni di indumenti, da ricevere dopo, e non prima, aver avuto parole di accoglienza.
Lo capisce e lo apprezza Yussuf, che dal Marocco è arrivato a Città di Castello, e con le lacrime agli occhi parla della figlia malata. “Sono musulmano - rivela - e sono venuto a vedere il Papa, e a condividere questa esperienza con altre persone come me”.
“È il Papa di tutti”, commenta accanto a lui Luciano, che nella vita dice di esser stato sedotto e distrutto dall’alcol, che a parte uccidere e rubare “i peccati poi me li ha fatti fare tutti. Finché poi non ho ritrovato la fede”.
Cattolica, la fede, ma non è scontato al cospetto di Papa Bergoglio. Sorride, infatti, Iknur, che del Punjab e della sua etnia Sik non ha conservato che le scarpe a punta: “la mia” dice “è una fede universale, non do un nome a Dio”.
Mentre è storia diversa quella della famiglia cingalese venuta da Roma per ringraziare: poco lavoro, poche cose, tanto aiuto da parte della Caritas, ma quello che mancava era la gioia di un figlio. “Dopo anni, un viaggio a Lourdes: subito dopo è nata Bernadette”.
Sembra un mondo in miniatura, l’appuntamento voluto da Francesco nella chiesa del santo che ne ha ispirato nome e Pontificato. Ma, ammette il Papa, l’idea non è stata tutta sua: a convincerlo un “enfant terrible”, Etienne Villemain, che cinque anni fa ha voluto portare ad Assisi il Papa, proponendo la giornata del povero, con la sua associazione Fratello.
Tra i volontari di Fratello, occhi azzurri e barba grigia, a parlare è Patrick: “i poveri sono il cuore della Chiesa, sono il tesoro. Il Papa ha detto di servire chi ci è accanto, e prima lui lo aveva detto Cristo.
Le persone più importanti sono quelle che più hanno bisogno. E c’è sempre qualcuno che ha più bisogno di te”. Non è un dovere, però: ci si mette a servizio per volontà. Oppure per scelta? “Because you need. Perché ne hai bisogno”.