AGI - Quella mattina del 15 settembre, davanti alla Chiesa di San Rocco, la sua Panda grigia era colma, come sempre, di biscotti, brioche e caffé.
Don Roberto Malgesini stava per iniziare alle sette di una giornata di sole il suo consueto giro di colazioni per i poveri di Como quando Ridha Mahmoudi, proprio uno degli uomini in difficoltà che sfamava e aiutava da tempo, tanto da avergli procurato un avvocato per difendersi nei processi in cui era imputato, lo ha avvicinato e ucciso con un grosso coltello da cucina.
Poco più di un anno dopo la Corte d’Assise di Como condanna il suo omicida all’ergastolo accogliendo la richiesta del pm Massimo Astori e respingendo l'istanza della difesa di considerare l’imputato incapace d’intendere e di volere o, perlomeno, di disporre una nuova perizia psichiatrica dopo quella del consulente della Procura che lo aveva giudicato imputabile.
Il movente, sulla base delle dichiarazioni di Mahmoudi sarebbe stato un “complotto” che avrebbero ordito don Roberto e l’avvocato che all’epoca lo assisteva per farlo espellere e tornare in Tunisia, alla luce dei numerosi decreti di espulsione.
Ridha Mahmoudi era irregolare in Italia dal 2014. Arrivato nel 1993 dalla Tunisia, si era sposato con una donna italiana e lavorava.
Poi, si era sgretolato tutto. Si era separato, non lavorava più, dormiva nella parrocchia di Sant’Orsola e vagava per la città sempre con uno zaino in spalla e un vecchio cellulare.
Spesso la colazione gliela portava proprio don Roberto. Condannato in via definitiva per estorsione e maltrattamenti in famiglia, aveva visto scivolare via anche il permesso per stare in Italia.
Un avvocato, Simone Gatto, aveva raccontato all’AGI di avere incontrato il 'don' in carcere una volta e di avergli posto una domanda. "Gli chiesi che senso aveva aiutare certe persone che non dicono neanche grazie. Almeno noi abbiamo la parcella, gli feci notare. La sua risposta me la ricordo perfettamente: 'Gesù perdonò e salvò coloro che lo stavano mettendo sul crocifisso".