AGI - Solo il 5% delle bottiglie di vino fermo italiano destinate all'export esce dalle cantine a più di 9 euro al litro, mentre il 75% non supera la soglia dei 6 euro. Un posizionamento più basso non solo rispetto a competitor come Nuova Zelanda, Francia e Australia ma anche sulla media mondiale degli scambi. Un gap, nonostante i progressi fatti negli ultimi anni, che può e deve cambiare.
Lo rileva, oggi nel corso della Vinitaly Special edition, uno studio del neonato Osservatorio di Unione italiana vini (Uiv) realizzato in collaborazione con Vinitaly.
Complessivamente, secondo l'analisi, è il segmento popular (3-6 euro/litro) a essere il più presidiato dal vino tricolore nel mondo con quasi la metà dei volumi, seguito dal basic (fino a 3 euro) con il 28%, dal premiim (6-9 euro) con il 20% e dal superpremium (oltre i 9 euro). Secondo l'analisi, pur in un contesto di crescita generale del prezzo medio e con le dovute eccezioni date in particolare dai rossi toscani e da quelli piemontesi, la seconda potenza mondiale del vino presenta ampi margini di crescita.
Negli Stati Uniti solo il 26% dei nostri vini è in fascia premium (dai 6 ai 9 euro/litro) o superpremium (da 9 euro e oltre): poco più della metà rispetto ai neozelandesi, che sommano sui segmenti di alta fascia il 46% e ancora meno sulla Francia che domina con il 66% di premium o superpremium. Ma non è solo il principale mercato al mondo - dove pure i rossi piemontesi si posizionano sugli stessi livelli dei Bordeaux francesi - a sottostimare la qualità italiana.
Secondo il nuovo Osservatorio presentato oggi, che si avvale della collaborazione di Wine Intelligence e Iwsr, anche in Cina si può fare meglio. Nel paese con il 21% di prodotto quotato oltre i 6 euro/litro superiamo Spagna e Cile, ma rimaniamo lontani da Francia (38%) e soprattutto Australia 76%. Tutto ciò, nonostante il posizionamento dei rossi toscani che nel segmento premium vedono l'80% delle proprie vendite contro il 78% dei vini bordolesi e il 71% degli australiani.
Tra gli altri grandi mercati, prezzi medio-bassi anche per gli ordini da Uk e Germania, dove 8 bottiglie su 10 appartengono ai segmenti basic o popular, mentre in Canada le fasce più ambite sono appannaggio di vini statunitensi e francesi. Va meglio in Giappone, con il Belpaese secondo solo alla Francia.
"La crescita del valore negli ultimi anni è stata più rilevante rispetto a quella degli altri Paesi produttori - ha detto il segretario generale di Uiv, Paolo Castelletti - ma siamo a metà del guado e i margini potenziali sono notevoli, considerata la qualità del prodotto. Serve un cambio di passo sul fronte del posizionamento del brand e dell'identità del nostro vino; asset raggiungibili attraverso politiche di settore lungimiranti e concertate con le imprese, con un approccio meno individualistico alla promozione, una maggior omogeneità nello standing elevato delle grandi denominazioni e un importante lavoro identitario legato alle nuove tendenze, a partire dai vini green. Sul tema sarà fondamentale completare il processo di definizione della norma pubblica in materia di sostenibilità che porterà ad avere, primi in Europa, un logo di Stato sui prodotti con certificazione sostenibile, sull'esempio neozelandese".