AGI - “Sono il morto numero 119 perché senza libertà si muore”. 108 bisturi dopo, Pasquale Padovano, ex operaio, si alza al mattino, viene lavato dalla moglie, mangia la colazione preparata dalla moglie o dalla figlia, fa un giro del palazzo accompagnato dalla moglie o dalla figlia. In un certo senso è rimasto prigioniero delle fiamme che l’8 ottobre di 20 anni fa bruciarono l’80 per cento del suo corpo, solo che adesso le mani di chi lo ama lo possono toccare.
"Col Covid ho dovuto sospendere le cure"
Eppure, nonostante l’auto epitaffio, Padovano dice avere pensato una volta soltanto che sarebbe stato meglio finire all’obitorio insieme a quell’esercito di uomini e donne di dieci nazioni diverse ucciso dall’incidente tra un aereo scandinavo in partenza per Copenaghen e un Cessna privato che gli tagliò la strada sulla pista di Linate.
"Ci ho pensato quando - racconta all’AGI - un giorno nei 14 mesi trascorsi all’ospedale Niguarda si prospettò la possibilità che mi amputassero la gamba destra. Invece poi mi sono rimaste tutte e due, e anche le mani, piano piano, posso ancora muoverle”. E da quello che fu un inferno vero, tangibile, concede di essere risalito in un “purgatorio”.
“Ci sto da 20 anni e gli ultimi due sono stati molto difficili per il Covid perché ho dovuto sospendere la fisioterapia. Sono vaccinato, ma a entrare in ospedale ancora non mi fido e anche i medici mi hanno detto che è meglio se me ne sto ancora un po’ tranquillo”.
Pochi giorni fa, ha risentito le fiamme sulla pelle. “Ho visto in televisione le immagini dell’areo caduto a Milano, a pochi metri dal mio incidente. Quegli otto morti ero io nel capannone dei bagagli quando sentii un’esplosione che mi fece pensare a un attentato, le Torri Gemelle erano crollate da un mese”.
L'appello al Presidente Mattarella
Coi familiari del Comitato 8 ottobre ha pochi contatti, fa capire che è come se il suo essere sopravvissuto sia una condizione incompatibile con la morte di quelle persone. E’ stata fatta giustizia per Linate con le 5 condanne, due assoluzioni e una pronuncia di inappellabilità della Cassazione nel 2019? “No, è stato il più grave incidente aereo in Italia. Non basta quello che ha fatto la giustizia, vorrei si istituisse una Commissione parlamentare d’inchiesta”. I soldi per vivere ‘dopo’: “Io ho avuto due cocomeri, poca roba dallo Stato. L’aiuto vero mi è arrivata dalla Sea, l’azienda che gestisce lo scalo. Mi ha aiutato in tutti i modi, con le medicine che dovevano essere pagate e coi contributi. Con la macchina, con la vicinanza. Sono andato formalmente in pensione sei anni fa”.
Ci tiene a consegnare un appello all’AGI: “Dite al Presidente Mattarella se mi può ricevere, Ciampi voleva darmi un’onorificenza, ma l’idea è rimasta lì. Vent’anni è il momento giusto per rimediare alla dimenticanza”. E per riunire le due vite: “Vuole una foto? Facciamo così: gliene mando due, una prima e una dopo. Quella dopo è il giorno del matrimonio. Una bella foto”.