AGI - “Il rischio di inquinamento dell’economia che è stato ulteriormente accentuato dalla crisi pandemica, nella Capitale potrà comportare un ulteriore espansione delle condotte usurarie che potrebbero andare a intaccare non solo le piccole e medie imprese ma anche i singoli”. Rischio ancora più concreto in una piazza “costellata dagli storici ‘cravattari’ così come da emissari delle organizzazioni criminali locali o di proiezione che agiscono solitamente applicando tutti i canoni dell’agire mafioso”.
A segnalarlo è l’ultima relazione semestrale al Parlamento della Direzione investigativa antimafia. “Con la sua provincia – premette il documento - la Capitale costituisce un unicum nel panorama nazionale già in altre occasioni definito come una sorta di ‘laboratorio criminale’ nel quale le mafie tradizionali convivono e interagiscono con associazioni criminali autoctone ricercando continuamente un ‘equilibrio’’ garantito da un reciproco riconoscimento che tuteli lo scambio di utilità”.
Un'infiltrazione silente
In tale contesto, “un elemento che accomuna i diversi gruppi può essere sicuramente rintracciato nella tendenza a ridurre progressivamente le espressioni più violente che cedono il passo alla costante ricerca di proficue relazioni finalizzate, in definitiva, a una silente infiltrazione del territorio. Non sono tuttavia da sottacere quelle condotte violente opera di soggetti criminali emergenti che si presentano alla lente degli analisti e degli investigatori come funzionali alla conquista di porzioni di territorio per la gestione delle piazze di spaccio degli stupefacenti il cui approvvigionamento resta tendenzialmente appannaggio di camorra, ‘ndrangheta e in misura minore di cosa nostra con gruppi di criminalità straniera, in particolare albanese, che si stanno sempre più affermando nel settore".
"A un livello più strategico - si legge ancora nel documento - condotte violente quali omicidi, tentati omicidi o gambizzazioni possono risultare funzionali a orientare o persino deviare significativamente il corso delle relazioni delinquenziali (anche datate) delle alleanze ovvero degli equilibri spesso labili e comunque sempre soggetti al business contingente”.
Una realtà articolata e complessa
La realtà criminale a Roma per la Dia si conferma quindi “particolarmente articolata e complessa. Mentre in passato era perlopiù l’applicazione della misura di prevenzione personale del soggiorno obbligato a favorire l’infiltrazione sul territorio laziale di boss e affiliati della mafia siciliana, della camorra e della ‘ndrangheta oggi specialmente in ragione dell’esigenza di dover riciclare e reimpiegare i proventi delle attività illecite si assiste a un esodo spontaneo della criminalità organizzata verso la capitale. L’ampio ventaglio merceologico delle attività economiche e commerciali esistenti, la maggiore facilità ad occultare la propria presenza sul territorio, la mancanza di un’organizzazione egemone con cui fare i conti e di contro l’elevato potenzialità del capitale sociale del territorio (in termini di presenze criminali, rete di professionisti, esponenti istituzionali, amministratori pubblici, politici locali e nazionali) sono fattori che uniti alle emergenze originate dall’emergenza sanitaria da Covid-19 sicuramente possono favorire il reinvestimento dei capitali illeciti”.
Un importante indicatore dei possibili tentativi di infiltrazione della criminalità organizzata nei canali dell’economia legale è dato dal sensibile e costante incremento delle segnalazioni per operazioni sospette: per la provincia di Roma si è infatti passati dalle 9.037 nel 2019 alle 12.699 del 2020.