AGI - “Eitan ci manchi tanto, ti vogliamo bene”. Zio Or e zia Aya sono pronti a volare in Israele con questi sentimenti per riprendersi Eitan, ma anche a riparlare con la famiglia del nonno che l’ha sequestrato per trovare una soluzione che vada incontro “al benessere” del bambino sopravvissuto all’incidente del Mottarone.
Dopo un lungo assedio dei cronisti e l’arrivo di un’auto dei carabinieri, Or Nirko esce dalla villetta di Travacò Siccomario dove Eitan era stato accolto dopo il ricovero e spiega con toni ed espressioni più sereni rispetto ai giorni scorsi emozioni e aspettative nelle ore successive all’arresto a Tel Aviv di Shmuel Peleg.
Dice che “la speranza è di tornare a casa al più presto col bambino. La data in cui andremo in Israele non la svelo, non voglio trovarmi l’aereo pieno di giornalisti” e la sensazione è che la partenza sia questione di poche ore. “C’è la possibilità che Aya possa vedere il bambino, abbiamo fatto richiesta, tramite i legali di là, per arrivare a interloquire anche con i politici”.
Troppa la voglia di riabbracciare il piccolo di sei anni che ieri sera hanno sentito al telefono “per un breve colloquio”. Non sanno esattamente dove stia, o perlomeno non hanno voglia di farlo sapere, ma di certo “Eitan è con dei familiari”. Il bambino ha paura? “Non credo che si renda conto di essere stato rapito, forse pensa a una vacanza. Ora ha solo bisogno di stabilità, di tornare e riprendere la sua psicoterapia e fisioterapia”.
Or Nirko sa che “la strada può essere ancora lunga” ma è confortato dalle diplomazie dei due Paesi con le quali è “in contatto”. Punta più su un Tribunale italiano che sulla giustizia israeliana “perché è quello competente e se poi vogliono presentare reclami qua, e lo hanno già fatto, lo facciano ancora. Spero non sia una questione politica, è vero che Eitan ha la doppia cittadinanza, ma lui è italiano”.
La famiglia Peleg, aggiunge, “ci ha `bombardato´ falsamente usando la carta religiosa ma la casa di Eitan è qui, lui parla meglio l’italiano dell’ebraico, Israele per lui è terra di vacanza”. Eppure, per amore del bambino, gli zii sarebbero pronti a confrontarsi coi ‘rivali’: “Siamo ancora aperti a una conversazione con loro. Fin dall'inizio abbiamo provato a parlarci con l'aiuto della Comunità ebraica di Milano ma per i Peleg la soluzione era o Israele o niente.
Gli abbiamo dato massimo fiducia autorizzando incontri lunghi col bambino tanto che il giorno del sequestro poteva stare con loro dalle 11 alle 18 e 30. Di questa fiducia però hanno fatto cattivo uso”. Sul sequestro, “che temevamo, l’avevamo detto anche ai giudici” mostra di avere le idee chiare: “Di certo ci sono stati tanti complici, i nonni non potevano fare tutto da soli anche perché all’aeroporto di Lugano, che conosco, devi chiedere dei permessi speciali per arrivare in Israele, non è facile partire”.
Or chiede ai giornalisti di lasciarli in pace: “Ho affidato le mie figlie a un’amica per proteggerle. Stanno soffrendo molto, tutte le mattine corrono al suo letto per vedere se c'è. Siamo tutti stravolti da quello che è successo. Mia moglie è a pezzi”. Dalla parte del nonno, che potrebbe essere liberato su cauzione prima di venerdì, giorno della scadenza dei domiciliari, i legali contrattaccano con quello che presentano come un errore giudiziario.
Sostengono che non gli siano mai stati notificati il divieto di espatrio e tutti i provvedimenti relativi alla vicenda dal 10 agosto in poi. A sostegno della loro tesi, portano il documento del 10 agosto firmato dal giudice tutelare di Pavia, Michela Finucci, che rigetta la nomina a tutore di Shmuel Peleg e invita la tutrice e zia Aya, a domandare" al nonno del bambino “la consegna del passaporto” del piccolo entro e non oltre il 30 agosto 2021”.
"Ritenuto quindi meno l'interesse di Samuel Peleg e di Esther Cohen a rimanere inseriti nel presente procedimento e avere accesso agli atti esperiti successivamente al deposito telematico di detto procedimento - si legge nell'atto giudiziario consultato dall'AGI - il giudice manda alla cancelleria perché compia quanto necessario al fine di non mantenere più inserite nel procedimento le parti indicate”. Da queste ultime parole, secondo i legali, si evince che non avrebbero più potuto ricevere comunicazioni, mai nemmeno notificate in altro modo, sul portale del processo civile telematico Polisweb.