AGI – Esiste anche il codice inverso della Storia, quello che non ti aspetti e non ti aspetteresti mai soprattutto in quella Mezzaluna Fertile mediorientale dove i conflitti sono antichi come le montagne. Eppure ci fu una volta in cui le armate del Faraone risalirono da Gaza fin sulle alture di Gerusalemme per difendere i figli dei figli di quel Popolo d’Israele che aveva osato lasciare la schiavitù d’Egitto, facendo sì che il Mar Rosso si chiudesse su tutti: cavallo e cavaliere.
La verità è saltata fuori da una stele rinvenuta, come la Stele di Rosetta, nel Delta del Nilo, a Ismailia; solo che invece di essere a est, quasi alla periferia di Alessandria, Ismailia si trova ad ovest, dove i bracci del Grande Fiume ormai non riescono quasi più a far sentire il loro influsso salvifico, e ricomincia il deserto.
È lì, in un campo più prossimo al Canale di Suez che non alla costa e alle sue città fascinose, che Apries il Faraone lasciò la sua stele, dove oggi per l’appunto l’ha rinvenuta un contadino intento all’aratura. Qualcosa di molto simile accadde a Rosetta, e della Stele di Rosetta quella di Ismailia potrebbe avere la stessa importanza, se si volesse cogliere li segnale: leggete, e cambierà la vostra visione delle cose. Basta saper decifrare.
La stele di Ismailia, del resto, è incisa in caratteri geroglifici, ma di epoca tarda. Inoltre è intatta. Non c’è stato bisogno di uno Champollion per cavarne il segreto: basta di questi tempi uno specializzando in archeologia, o poco più.
Così l’arenaria chiara ha parlato, raccontando una storia ai limiti dell’incredibile. Quella di Wahib Re, che i Greci padroni del soft power dell’antichità ci hanno tramandato come Apries, e del suo soccorso ai discendenti di Mosé. Incredibile, per chi sedeva sul trono del potentissimo, ma da loro umiliato, Ramsete II. O almeno questo ci tramanda la cultura popolare, anche per via di Hollywood.
Ramsete però regnò durante la XIX dinastia, il meno noto Apries nella XXVI. In termini cronologicamente per noi più comprensibili, seicento anni più tardi: tra il 600 avanti Cristo ed il 580. Forse sei secoli sono abbastanza per dimenticare. Poi ci sono sempre le ragioni della geopolitica:
La chiave del Medioriente
Gerusalemme è la chiave dell’Egitto per chi vive in Mesopotamia, e della Mesopotamia per chi vive in Egitto. I due colossi, pertanto, se la sono sempre contesa e questa è stata la disgrazia del Popolo d’Israele. O la sua salvezza. Negli ultimi anni del regno di Apries, infatti, si affacciò alle mura di Gerusalemme la Santa il più grande dei Re di Babilonia, quel Nabucodonosor II che, a voler restare nella cultura popolare, noi ci ricordiamo sempre per via del Nabucco.
Ma dal Delta giunse, inaspettato e salutare come acqua nel deserto, l’aiuto egizio. Anzi, più di una volta, narra la stele recuperata a Ismailia, Apries mandò i suoi uomini ad aiutare gli Israeliti ricacciando il nemico, E quando questi si fece ancor più temibile, mise i suoi uomini a presidio della Città, ricordando l’impresa nella roccia, e ponendo quella roccia sulla strada che univa il suo regno a quello dei popoli della Bibbia.
Purtroppo non servì a nulla: i babilonesi presero Gerusalemme nel 587 avanti Cristo e trassero in cattività quasi tutta la popolazione ebraica. Il Primo Tempio fu distrutto, l’Arca dell’Alleanza sparì e nessuno l’ha mai più ritrovata. Le conseguenze sullo stesso ebraismo furono profondissime, anche se la cattività babilonese in sé non andò oltre qualche decennio. Quella in Egitto era stata molto peggio.
Ad ogni modo Apries non si vanta solo di questo aiuto. Ricorda addirittura di aver aiutato gli israeliti a ritrovare la libertà, anche se non si capisce se alluda alla liberazione da Babilonia, avvenuta forse dopo la sua morte, o all’accoglienza data ai molti fuggitivi che volevano scampare il giogo babilonese. Ad ogni modo di una storia, se non di amore e di amicizia, di solida alleanza si tratta. Ci si accontenti. La Storia ha il suo codice inverso.
Anzi, ne ha talmente tanto uno che, guarda caso, la stele proprio a Ismailia l’hanno trovata. Il che non vuol dire solo sulla strada che porta al Sinai, a Gerusalemme e al Monte Hermon. Vuol dire nella città dove, nel 1977, un premier israeliano chiamato Menachem Begin si incontrò con il raiss egiziano Anwar el Sadat, il quale a sua volta due mesi prima si era recato, con grande scandalo degli altri paesi arabi, proprio a Gerusalemme.
Ne nacquero quegli accordi Camp David che, con buona pace di Donald Trump e delle sue paci d’Abramo, è il più grande monumento alla pace costruito nella Mezzaluna Fertile in mille e mille anni di storia.
Meriterebbero anche loro una stele, a Ismailia. Anche scritta in tardo geroglifico, oppure in demotico. Tanto, se si vuol capire, si capisce lo stesso.