AGI - L’aula "può accogliere" la presenza del crocifisso quando la comunità scolastica interessata "valuti e decida in autonomia di esporlo", eventualmente "accompagnandolo con i simboli di altre confessioni presenti nella classe" e in ogni caso ricercando un "ragionevole accomodamento tra eventuali posizioni difformi". Lo hanno sancito le sezioni unite civili della Cassazione con una sentenza depositata oggi, pronunciandosi sulla questione dell’affissione del crocifisso nelle aule scolastiche.
La questione esaminata dai giudici di piazza Cavour riguardava la compatibilità tra l’ordine di esposizione del crocifisso - impartito dal dirigente scolastico di un istituto professionale statale di Terni sulla base di una delibera assunta a maggioranza dall’assemblea di classe degli studenti - e la libertà di coscienza del docente che desiderava fare le sue lezioni senza il simbolo religioso appeso alla parete.
"Nessuna discriminazione"
L’affissione del crocifisso, "al quale si legano, in un Paese come l’Italia, l’esperienza vissuta di una comunità e la tradizione culturale di un popolo", afferma la Cassazione, "non costituisce un atto di discriminazione del docente dissenziente per causa di religione".
Secondo la Corte, la disposizione del regolamento degli anni venti del Novecento – che tuttora disciplina la materia, mancando una legge del Parlamento – è suscettibile di essere interpretata in senso conforme alla Costituzione. Mentre, dunque, l’aula può accogliere la presenza del crocifisso quando la comunità scolastica interessata valuti e decida in autonomia di esporlo, il docente 'dissenziente' non ha un potere di veto o di interdizione assoluta rispetto all’affissione del crocifisso: deve essere ricercata, da parte della scuola, una soluzione che tenga conto del suo punto di vista e che rispetti la sua "libertà negativa di religione".
Per questo, la circolare del dirigente scolastico, consistente nel "puro e semplice ordine di affissione del simbolo religioso", è stata ritenuta dalla Corte "non conforme al modello e al metodo di una comunità scolastica dialogante che ricerca una soluzione condivisa nel rispetto delle diverse sensibilità" e, quindi, è stata annullata la sanzione disciplinare - la sospensione per 30 giorni - che era stata inflitta al professore.
Per i giudici del 'Palazzaccio', però, non va riconosciuto alcun risarcimento, come invece invocato dal professore: non si è ritenuto - spiega la Corte - che sia stata "condizionata o compressa" la "sua libertà di espressione e di insegnamento", proprio perché l'esposizione del crocifisso non è un "atto discriminatorio".
"L'obbligo non è consentito dalla Costituzione"
"In base alla Costituzione repubblicana, ispirata al principio di laicità dello Stato e alla salvaguardia della libertà religiosa positiva e negativa, non è consentita, nelle aule delle scuole pubbliche, l'affissione obbligatoria, per determinazione dei pubblici poteri, del simbolo religioso del crocifisso". E' uno dei principi di diritto enunciati dalla Cassazione, con la sua sentenza: "L'articolo 118 del regio decreto 965 del 1924 - sottolineano i giudici - che comprende il crocifisso tra gli arredi scolastici, deve essere interpretato in conformità alla Costituzione e alla legislazione che dei principi costituzionali costituisce svolgimento ed attuazione, nel senso che la comunità scolastica può decidere se esporre il crocifisso in aula con valutazione del fatto che sia frutto del rispetto delle convinzioni di tutti i componenti della medesima comunità, ricercando un 'ragionevole accomodamento' tra eventuali posizioni difformi".
La Cei: il crocifisso non discrimina
"Il crocifisso non discrimina" ed è "innegabile" che sia un "simbolo di dialogo". Così il segretario generale della Cei, monsignor Stefano Russo riguardo alla sentenza con cui la Corte di Cassazione è intervenuta sulla vicenda sollevata in una scuola di Terni. "I giudici della Suprema Corte confermano che il crocifisso nelle aule scolastiche non crea divisioni o contrapposizioni - commenta monsignor Russo pur riservandosi di leggere la sentenza nella sua integralità - ma è espressione di un sentire comune radicato nel nostro Paese e simbolo di una tradizione culturale millenaria".
Inoltre, continua monsignor Russo, "la decisione della Suprema Corte applica pienamente il principio di libertà religiosa sancito dalla Costituzione, rigettando una visione laicista della società che vuole sterilizzare lo spazio pubblico da ogni riferimento religioso. In questa sentenza la Corte riconosce la rilevanza della libertà religiosa, il valore dell'appartenenza, l'importanza del rispetto reciproco".
"È innegabile che quell'uomo sofferente sulla croce non possa che essere simbolo di dialogo - conclude il segretario generale della Cei - perché nessuna esperienza è più universale della compassione verso il prossimo e della speranza di salvezza. Il cristianesimo di cui è permeata la nostra cultura, anche laica, ha contribuito a costruire e ad accrescere nel corso dei secoli una serie di valori condivisi che si esplicitano nell'accoglienza, nella cura, nell'inclusione, nell'aspirazione alla fraternità".