AGI - Ore di attesa "passando attraverso l'inferno" per arrivare in aeroporto. "Gettati davanti ai lupi" a lottare l'uno contro l'altro per riuscire a entrare per vedere poi svanire il tanto sognato viaggio per la salvezza.
E' il drammatico racconto di quanto accaduto all'aeroporto di Kabul a un famiglia composta da padre madre e due bimbi, che avrebbero avuto il diritto di imbarcarsi per lasciare l'Afghanistan ma non ci sono riusciti. Sono stati picchiati, bambini compresi, e sono dovuti andare via. Ora temono anche ritorsioni e nuove violenze dopo una salvezza solo sfiorata e non afferrata.
A raccontare l'epopea al Cisda, il Coordinamento italiano sostegno donne afgane onus, sono stati gli stessi protagonisti-vittime: la famiglia di Ahmed (nome di fantasia per tutelarne l’identità). Nonostante avessero diritto ad accedere a uno dei voli verso un paese europeo, Ahmed, la moglie e i due bambini non ci sono riusciti a causa della calca e delle violenze dei talebani e hanno dovuto rinunciare a partire.
Questo il drammatico racconto: “Io, mia moglie e i miei figli siamo andati all’aeroporto di Kabul nelle prime ore del mattino per essere evacuati. Abbiamo attraversato l'inferno. Non trovo le parole per descrivere la situazione. Migliaia di persone cercano di entrare in aeroporto".
"Le ore che abbiamo trascorso lì erano un incubo. Ci sono stati momenti in cui eravamo senza fiato, mentre le persone spingevano e tiravano. Molti avevano aspettato per giorni fuori dall'aeroporto. Abbiamo cercato continuamente di avvicinarci al cancello, ma persino spostarci di un centimetro era difficile. Tutti stavano cercando di fuggire dal paese, ma non sapevano come entrare nell'aeroporto. Mia moglie e i nostri due bambini hanno dovuto assistere alle scene peggiori della loro vita".
I miei figli non avevano mai visto i talebani, ora ne hanno sperimentato la brutalità
“Come padre, è stato il momento più difficile - spiega ancora Ahmed - perché stavo facendo del mio meglio per portarli al sicuro dall'altra parte del muro verso un futuro migliore, ma assistevo alla loro paura mentre venivamo picchiati senza pietà. I miei figli non avevano mai visto i talebani, ma ora hanno sperimentato la loro brutalità.
Mi sentivo impotente, perché non potevo proteggerli mentre venivano picchiati. Ho dovuto supplicare i talebani di risparmiare almeno i bambini. I proiettili sono stati sparati indiscriminatamente e chiunque avrebbe potuto essere colpito. Non riuscivo a trattenere le lacrime, perché non avevo mai immaginato che i miei figli e la mia famiglia avrebbero vissuto l'umiliazione che avevo vissuto io 25 anni fa".
La moglie, laureata in legge e attivista, "è stata picchiata sulla testa e si è sentita umiliata anche nell’animo. Mi ha detto che non aveva la forza di alzarsi in piedi dopo aver visto il nostro bambino impallidire e sul punto di svenire per la paura. Mia figlia e mio figlio mi stringevano forte le mani. Piangevano, mi dicevano che saremmo stati uccisi e mi chiedevano di tornare a casa. Il mio bambino non riusciva a respirare per la paura e ho pensato che lo stavo perdendo. Mia figlia non urlava più. Le uscivano solo lacrime che le rigavano le guance".
“Ho provato in tutti i modi a contattare qualcuno per chiedere aiuto, ma non è stato possibile. La mia famiglia - insiste - ha attraversato l'inferno; inferno non è nemmeno la parola giusta. Volevo portarli lontano dal pericolo, invece li ho messi in pericolo e ora sono traumatizzati.”
“Da quando abbiamo lasciato l'aeroporto, la mia famiglia è così spaventata! I miei bambini temono che i talebani bussino alla porta, ci portino via e ci uccidano. Sto cercando di consolarli, ma le nostre vite sono a rischio e non so quali saranno le conseguenze, dopo che i talebani hanno visto che abbiamo tentato d'imbarcarci e poi siamo tornati a casa. Non volevo che i miei figli subissero quello che ho passato io 25 anni fa, nel brutale periodo dei talebani al potere. Le scene di oggi all’aeroporto mi hanno riportato alla mente quei ricordi.”
Forse abbiamo i giorni contati, non so quando busseranno alla mia porta
“C'è un grande peso sul mio cuore. Come proteggerò la mia famiglia? La vita è ingiusta. Forse abbiamo i giorni contati e non so quando busseranno alla nostra porta. Ringrazio chi ha tentato di farci uscire dal paese, ma credo che questo non sia il modo giusto. All’aeroporto ci siamo sentiti come gettati di fronte ai lupi e ognuno faceva del suo meglio per
sopravvivere.
Ma siamo esseri umani, nessuno dovrebbe combattere contro gli altri e calpestare donne e bambini. Vogliamo un'evacuazione dignitosa! So che più a lungo resteremo a Kabul, più sarà pericolosa la situazione che dovremo affrontare, ma, vedendo la mia famiglia traumatizzata e rischiando di perdere i miei figli nel caos, dopo più di 20
ore di attesa non abbiamo potuto fare altro che tornare a casa".