AGI – “Ora siamo senza via di fuga. Abbiamo ancora più paura”.
Parole di disperazione quelle inviate da Kabul nelle ultime ore dalle 30 giovani attiviste afghane di Pangea ai loro responsabili in Italia. Da quando vivono col terrore che i talebani bussino alla loro porta, la mattina, dicono all’AGI dalla sede milanese della onlus, “è il momento migliore per le ragazze perché c’è la speranza che arrivi la chiamata dall’aeroporto”. Negli ultimi giorni sembrava essersi aperto uno spiraglio per la fuga, invece gli scontri con spari che sono concentrati proprio vicino alla scalo rendono impossibile questa eventualità e la sensazione è di non avere scampo.
Chiuse in casa e senza poter guardare in cielo sognando di andarsene da una terra diventata così inospitale nel giro di pochi giorni.
"Pensiamo sempre alle donne aiutate"
Ma il pensiero di queste donne tra i 25 e i 45 anni, molte laureate, è sempre a chi hanno sostenuto in questi anni, vite fiorite grazie al loro contributo, il cui filo era tracciato nelle carte dell’archivio incenerite all’arrivo dei talebani.
“Cerchiamo di tenere a mente tutte le donne aiutate. – scrive S., 32 anni, insegnante di diritti umani nei corsi di Pangea -. Bruciare gli archivi è stato straziante. Ricordiamo tutte le conquiste fatte in questi anni di lavoro. Abbiamo aiutato così tante donne a diventare imprenditrici. Abbiamo ricordato tutti i cambiamenti che abbiamo portato nelle loro vite. Che ne sarà di tutto questo?”. “Penso a mia figlia, costretta a nascondersi. Tutta la nostra famiglia è costretta a nascondersi – dice H., la madre di una delle ragazze -. Ci sentiamo in trappola. Temiamo una denuncia da parte di amici o vicini. Sentiamo le nostre ore contate”.