AGI - La trovarono morta, nuda, a parte una catenina con la Madonna al collo e un orologio al polso, in fondo a un pozzo profondo 11 metri, il 7 luglio 1989, nelle campagne di San Giovanni Suergiu, nel Sulcis, vicino a Carbonia. Di Gisella Orrù, 16 anni, della sua bellezza e innocenza era rimasto solo un corpo perlaceo, con al centro, vicino al cuore, il segno di una ferita mortale inferta con un ferro da calza o un cacciavite a stella di 4 millimetri di diametro e 15 centimetri di lunghezza, dirà il medico legale.
La ragazza era stata stordita con un colpo alla testa, in quello che, durante le indagini, fu descritto, seppure mai definitivamente accertato, come un festino notturno a sfondo sessuale in spiaggia. Aveva bevuto alcol e mangiato carne e patate. Ma ancora non si sa esattamente dove né con chi. Non certo con coetanei. L'arma del delitto non è mai stata trovata e neppure i vestiti di Gisella.
La studentessa, che frequentava l'istituto tecnico commerciale 'Angioy', era scomparsa il 28 giugno precedente da Carbonia, dove viveva con la nonna paterna, assieme alla sorella più piccola, dopo la separazione dei genitori. Il medico legale riferì in tribunale che la sua morte doveva essere collocata fra i 7 e i 10 giorni precedenti il ritrovamento del corpo.
La verità processuale
I tre gradi di giudizio di quello che dopo 32 anni ancora si ricorda come 'il giallo del pozzo', una delle storie di cronaca più clamorose e controverse in Sardegna, hanno scritto solo due nomi come responsabili di omicidio volontario, soppressione di cadavere e ratto a fine di libidine: Salvatore Pirosu, 41 anni all'epoca del delitto, il vicino di casa, l'amico di famiglia, che la vittima chiamava 'Zio Tore'; e Licurgo Floris, che aveva allora 37enne, una condanna per spaccio di droga, morto suicida in carcere a Cagliari nel 2007, nonostante gli anni passati a professarsi innocente. Floris aveva appena concluso un periodo di semilibertà, poco prima di essere trasferito nel penitenziario di Sollicciano a Firenze.
"Sono convinto che Salvatore Pirosu ha venduto mia figlia a qualcuno in grado di garantirgli i soldi e un posto di lavoro", l'accusò al processo di primo grado a Cagliari, nel marzo 1991, il padre di Gisella, Gisello Orru', convinto che l'omicidio fosse avvenuto con altri protagonisti, in un posto diverso, forse in una casa, da quello indicato dal 'pentito' Pirosu, la pineta di Matzaccara, vicino a Carbonia. La sorella minore della studentessa uccisa, al processo, dichiarò che Pirosu una volta le aveva messo le mani addosso.
Di 'zio Tore', ormai, si sono perse le tracce: "Non c'entro niente con la morte di Gisella", disse il grande accusatore nel 1992 alle telecamere di 'Telefono Giallo', la trasmissione condotta da Corrado Augias, che si occupò del caso, così come fece a più riprese 'Chi l'ha visto?', sempre su Raitre.
Zio Tore, il 'pentito'
Pirosu, che fu sottoposto anche a una perizia psichiatrica, si era costruito un ruolo da spettatore - poi ritrattato in appello - della serata in cui aveva collocato il delitto di Gisella, da lui attribuito a Floris. L'imputato aveva chiamato in causa anche altre due persone, una giovane che si prostituiva e un tossicodipendente morto poco dopo di Aids. Entrambi furono prosciolti in istruttoria, in quanto avevano un alibi per la sera presunta il delitto: la prima era al Sert di Cagliari, l'altro a Carbonia assieme ad altre persone.
Al processo di primo grado il 'pentito', aveva ricostruito la sua versione dell'omicidio a Matzaccara. "A un certo punto ho sentito delle urla: era Gisella Orrù che si ribellava a un rapporto contro natura", aveva raccontato Pirosu, che inizialmente aveva detto di essersi appartato in auto con la ragazza poi prosciolta. "Qualcuno gli ha detto di fare il nome di mio marito", disse di Pirosu la moglie di Licurgo Floris.
'Zio Tore' è sparito poco tempo dopo aver trascorso in carcere 24 dei 26 anni cui era stato condannato: lasciato anzitempo il penitenziario di Porto Azzurro grazie all'indulto e tornato in Sardegna, Pirosu trascorse qualche giorno in una comunità per ex detenuti di Iglesias per poi allontanarsi e non rientrare mai. Di lui, che oggi avrebbe 73 anni, non si sa più nulla.
Le telefonate anonime
Il 'giallo del pozzo' è una storia dai contorni torbidi, scandita da telefonate anonime arrivate ai carabinieri, alle nonne di Gisella e ai vigili urbani di Carbonia nel tentativo ambiguo di depistare le indagini, all'inizio, e poi d'indirizzarle, com'è accaduto per quelle che hanno portato i carabinieri sulle tracce di Pirosu e a Floris e, infine, al ritrovamento del cadavere. Una voce femminile segnalò che la sera della sua scomparsa Gisella era salita sulla Fiat 126 bianca di Tore Pirosu e, in un secondo momento, su quella di Floris, una Fiat 131. Il nastro della registrazione di una delle telefonate anonime andò perduto.
In primo grado nel 1991 Pirosu fu condannato a 30 anni, mentre Floris fu assolto per non aver commesso il fatto. Dopo quella sentenza, arrivò alla procura di Cagliari una lettera anonima che chiamava in causa altre persone, ma l'inchiesta bis non portò alcun elemento nuovo. Nello stesso periodo un gruppo di cittadini pubblicizzò l'iniziativa di un premio in denaro di 20 milioni di lire per chiunque avesse fornito notizie utili a identificare i killer di Gisella.
Si arrivò al processo d'appello senza sostanziali novità. In quell'occasione Pirosu cambiò versione: disse che lui nella pineta con Gisella non c'era mai andato, anzi, di essersi spostato a Cagliari dopo aver consegnato Gisella all'amico Licurgo Floris. Questi, in secondo grado, fu condannato a 30 anni di carcere. A Pirosu, invece, furono scontati 6 anni. "Mi ammazzo", dichiaro' subito Floris, "cosi' mi avranno sulla coscienza".
Nel giugno del 1992 le due condanne furono confermate in Cassazione, ma i dubbi sono rimasti. La famiglia di Licurgo Floris e' sempre convinta della sua innocenza e cerca ancora la verità.
Gisella, "una luce spenta"
"Sono un arcobaleno scolorito, uno scoiattolo stanco, una manciata di sale, sono una goccia appassita, un pezzo di terra, un fiore finito, una luce spenta, una stella caduta". Così scriveva, in una poesia sul suo diario, la sedicenne in quello che sarebbe stato il suo ultimo anno di vita, prima di quella sera del 28 giugno 1989 in cui, sarebbe scomparsa dalla piazza di Carbonia dov'era andata a trovare gli amici senza più riuscire a tornare a casa della nonna.
Nelle prime pagine del diario, alla voce 'indirizzo d'ufficio', si leggeva 'Pompe funebri'. E poi davanti a passaporto: "Per l'oltretomba". Gruppo sanguigno? "Acqua colorata". Forse scherzava Gisella quando scriveva queste cose, forse erano il segnale di un disagio profondo. All'amica Natascia, che frequentava da 8 mesi, aveva confidato i suoi problemi familiari, le tensioni col padre e la nonna. Non si sa quanto volontariamente abbia seguito chi poi l'ha uccisa.
La mattina dopo la sua scomparsa, una donna - rimasta anonima - chiamò la nonna paterna, che imponeva alla nipote rigidi orari di rientro a casa la sera, per rassicurarla: "Gisella è con noi, sta bene, andiamo in vacanza per un mese". Storia poco verosimile.
Il suicidio con la stricnina
Nell'aprile del 1989, alcuni mesi prima dell'omicidio Orrù, Liliana, una sedicenne che frequentava la stessa scuola di Gisella si uccise con una dose di stricnina. Non è chiaro se il suicidio e il delitto del pozzo siano collegati, anche perché non è confermato che le due ragazze si frequentassero, pur avendo conoscenze in comune. Alcuni giorni prima del suicidio, raccontò la madre di Liliana, tre persone, fra le quali un mafioso in soggiorno obbligato a Carbonia, si presentarono in casa con la proposta di vendere biancheria intima. Alla madre la ragazza confidò che qualcuno le aveva chiesto di prostituirsi e che una compagna di classe consumava cocaina.
Dopo il suicidio, la famiglia di Liliana scoprì che mancavano 800 mila lire destinate a essere depositate in banca e di cui la ragazza si era impossessata.
Gisella per sempre
Carbonia ha deciso di ricordare per sempre la ragazza: l'anno scorso, il 17 luglio, il Comune le ha intitolato una strada fra via Abruzzi e via d'Annunzio, dopo un'istruttoria cominciata nel 2019, a 30 anni esatti dal delitto. "Vogliamo ricordare Gisella tragicamente e prematuramente scomparsa per un omicidio efferato", aveva sottolineato la sindaca Paola Massidda, "avvenuto in circostanze ancora poco chiare".