AGI – La giunta Zangheri era in vacanza, come ogni estate. A presidiare Palazzo d’Accursio era rimasta di turno l’ultima arrivata, una insegnante di 36 anni ‘prestata alla politica’ che aveva da poco concluso gli esami di maturità al liceo Copernico.
“I primi quindici giorni di agosto non vengono neanche a sposarsi, è troppo caldo. Non ti preoccupare non succede mai nulla, al massimo dovrai firmare solo per qualche ricovero coatto”, disse un dirigente comunale a Miriam Ridolfi, appena nominata assessore al decentramento e ai servizi demografici del Comune di Bologna.
Ma la storia virò all’improvviso. La mattina di sabato 2 agosto, alle 10.25, una bomba sventrò la stazione di Bologna: l’attentato terroristico più sanguinario dal Dopoguerra che fece 85 morti e 200 feriti. Fu Miriam a creare il primo centro di coordinamento per ‘dirigere’ i soccorsi.
Una cerniera tra istituzioni e cittadini per affrontare l’emergenza, un punto di accoglienza attivo giorno e notte. Un modello di comunità dove ognuno - dai commercianti, ai politici, ai medici, alle forze dell’ordine fino agli studenti – fece la propria parte.
L’obiettivo era sollevarsi insieme dalle macerie, dalla polvere e dal sangue della strage. A Miriam, sempre in prima linea, l’allora presidente della Repubblica Sandro Pertini diede una carezza il 6 agosto durante i funerali delle vittime in Piazza Maggiore.
“Poi un anno dopo, quando lo incontrammo con l’Associazione dei parenti, Pertini mi disse ‘vai avanti’. Non lo dimenticherò mai”, ricorda l’ex assessore intervistata dall’AGI. Dopo 41 anni dalla strage, la testimonianza di Miriam è una pagina di memoria, per non dimenticare.
“Ero alla fermata dell’autobus a metà di via Indipendenza, quando ho sentito il boato dello scoppio. Sono tornata immediatamente in Comune e, insieme al dirigente Libero Volta - racconta - abbiamo dato il via al centro di coordinamento e ci siamo messi in contatto con ospedali, Prefettura, Questura, le altre forze dell’ordine e il personale del Comune presso la stazione.
Gli studenti con le loro radio private rispondevano alle chiamate dei familiari
A Palazzo d’Accursio, arrivarono molte persone rimaste traumatizzate dalla strage che volevano solo scappare da Bologna. Così ho pensato di contattare anche gli assistenti sociali dei 18 quartieri cittadini. Al centro abbiamo distribuito i pasti, offerti dai commercianti, abbiamo fornito nuovi vestiti. Sono arrivati anche i miei studenti del Copernico. All’inizio li volevo mandare via. Poi mi hanno detto: ‘professoressa abbiamo le radio private’. Così rispondevano alle chiamate di centinaia di familiari che volevano notizie sui propri cari”.
Il sindaco Renato Zangheri arrivò lunedì sera. “Lo slogan era: facciamo ognuno la propria parte”. E così fu. Il centro rimase aperto per 4 giorni consecutivi giorno e notte e per tutto il mese di agosto ‘solo’ mattina e pomeriggio. Miriam tornò a casa dopo 96 ore consecutive di lavoro. Ad aspettarla i due figli di 4 e 10 anni.
“Mia suocera invece di parlare delle difficoltà avute con i bimbi mi disse di farmi una doccia. Mi lavò il vestito e me lo restituì impacchettato 22 anni dopo”. Un vestito - color grigio con farfalle azzurre disegnate sopra – che la ex docente ora indossa quando racconta la sua esperienza a teatro.
Alla vigilia delle commemorazioni del 41 anniversario della strage e con un nuovo processo in corso sui mandanti, Miriam cita le parole del primo presidente dell’Associazione parenti delle vittime, Torquato Secci “siamo partigiani di giustizia e verità”. La bussola - spiega - dovrebbe essere il senso di comunità che ha guidato Bologna - medaglia d’oro al valor civile - nei momenti successivi allo scoppio della bomba.
“E’ importante - il messaggio di Miriam Ridolfi - riuscire a fare la propria parte e non concentrarsi solo su noi stessi. Dopo il 2 agosto ci fu la reazione di una città intera. Questa cosa qui, adesso, non c’è più. Invece bisognerebbe ricrearla nella società come ci ha insegnato anche la pandemia”.