AGI - Per capire perché centinaia di persone abbiano sfidato impavide il solleone di mezzogiorno per guardare in piedi il funerale di Raffaella Carrà sul maxischermo allestito in piazza del Campidoglio, a pochi metri dalla basilica di Santa Maria, anziché approfittare della diretta di Raiuno dal comodo divano di casa. Per comprendere pure perché gli stessi devoti alla regina della tv italiana per salutare il suo feretro nei giorni precedenti al funerale si siano rassegnati a una coda che dalla sala della Protomoteca arrivava a piazza Venezia, piombando a Roma da tutta Italia, via treno e anche via pullmann.
E, ancora, per capire perché alla signora di “Rumore”, caso unico nella storia degli artisti che ci hanno lasciato, dopo un corteo funebre a tappe negli studi Rai che lei ha fatto grandi, sia stata dedicata nella Protomoteca del Campidoglio una camera ardente aperta per quasi tre giorni, solo due in meno di lady Diana, esposta a St James Palace nel ’97, forse vale la pena sottolineare che come la “principessa triste” anche la regina allegra della televisione italiana era una “principessa del popolo”, capace di abbracciare con il suo sorriso e la sua energia gente comune e personaggi celebri, di unire religiosità e trasgressione, Padre Pio alle famiglie arcobaleno, riservatezza e disponibilità, il suo non essere madre a un istinto materno convogliato verso i suoi due nipoti ma anche verso i figli adottati a distanza personalmente e verso 130 mila fatti adottare con il suo programma di Raiuno ‘Amore’.
Tant’è che nel funerale pianificato nei dettagli da lei (bara di legno grezzo semplicissimo, niente canti durante la cerimonia ma solo un tappeto di musiche suonato dall’organo della chiesa) e virtualmente celebrato, su richiesta di Japino anche con un momento di raccoglimento in tutte le chiese italiche, Raffaella ha voluto proprio sopra il suo feretro lo scatto, immagine del programma, realizzato da Oliviero Toscani, lei tra neonati di tutto il mondo e di tutti i colori.
Dentro la chiesa riservata a 200 persone per i protocolli antiCovid, il compagno di una vita Sergio Japino, la sindaca Raggi, il ministro della Cultura Franceschini e poi Massimo Lopez, Serena Autieri, Milly Carlucci, l’ad della Rai Fabrizio Salini, il direttore di Raiuno Stefano Coletta, Enzo Paolo Turchi, che con lei negli anni Settanta lanciò il rivoluzionario Tuca tuca, e anche, tra gli altri Joaquim Cortès "E’ stata un'artista che ha saputo rendere un ombelico sensuale e innocente al tempo stesso, quando ballava lei la tv sembrava a colori anche se era in bianco e nero, forse solo oggi riusciamo capire che è stata un regalo per tutti noi, ci ha insegnato che cuore passione e libertà scrivono pagine di storia e non solo quella della tv".
Non è un caso che quasi in chiusura del funerale, il discorso di Lorena Bianchetti sia stato il più applaudito, quasi tre minuti, e che il frate francescano della basilica Simone Castoldi, officiante insieme a tre “colleghi” in trasferta da Pietrelcina, terra di Padre Pio, dove, dopo la cremazione, l’urna dell’artista farà una tappa prima di tornare all’Argentario, abbia sottolineato che “il bene che ci ha dato Raffaella è stato un bene senza bandiere e senza colori”.
Un colore dominante in realtà c’era, il giallo tanto amato dall’artista che dominava in versione floreale prima nella camera ardente dove si sono presentati via via Maria De Filippi, Fiorello, Renzo Arbore, Pippo Baudo, Renato Zero, Vladimir Luxuria (con la bandiera delle famiglie arcobaleno) nelle corone e nei fiori deposti a terra dai devoti, quasi tanti come quelli per Lady Diana a Kensington Palace, e poi nella chiesa nella corona di rose gialle e girasoli.
Veniva quasi voglia di ballare nella camera ardente e lei forse voleva proprio questo, al ritmo delle hit che accompagnavano gli spezzoni dei suoi show. E se in chiesa “come è bello far l’amore da Trieste in giù” ovviamente non si poteva cantare ci hanno pensato i fan sotto il solleone a intonarla: in prima fila in maglietta nera con la scritta "Tuca tuca tuca, l'ho inventato io' c'era Mary Gitto cantante in trasferta da Messina (“Mi esibisco nelle piazze esclusivamente con i successi di Raffaella, mi ha folgorato quando ero sui banchi di scuola").
Accanto a lei tre signore peruviane dietro alla loro bandiera: oggi vivono a Roma, ma raccontano di aver visto per la prima volta Raffaella nel loro paese molti anni fa quando "con il sombrero in testa ballava con Enzo Paolo Turchi". In prima fila c'era anche un gruppo commosso di ragazzi della comunità Lgbt: "Ci ha dato tanto, era un simbolo di libertà, io la associo un po' a Madonna, spiegava Roberta. La religiosità dell'artista e la sua fede evidenziata nell'omelia, la ritengono un valore aggiunto, che nulla toglie, precisano, alle sue battaglie: "Il suo cuore era aperto a tutti". Alle famiglie arcobaleno come alla figura di Padre Pio. Più inclusiva di così non si può. Ciao Raffa.